La vita è strana. Ti trovi a fare in modo che tuo padre dopo un anno diffciile, dopo una operazione difficile, dopo una convalescenza difficile ritorni a casa per navigare a vista verso l’inverno che arriva. Lo porti a casa, lo saluti, gli dai appuntamento a più avanti nella settimana, dai indicazioni perchè riparta una piacevolmente noiosa normalità. Torni alla tua vita e dopo qualche ora ti arriva una telefonata che dice: Vittorio vieni tuo padre è morto. Allora corri sperando che si siano sbagliati, ma non si sono sbagliati. Tuo padre ha fatto una merenda sinoira, ha bevuto un po’. Poi qualcosa si è spento e cuore e respiro si sono fermati. Così in poche ore sei passato dalla gioia e dalla speranza di un ritorno, al discutere di rosari, funerali, casse da morto e simili amenità senza neanche accorgertene, in modo quasi omeopatico.
Poi si fa tardi e ti guardi indietro. Vedi un rapporto non mai facile fra un figlio e un padre per molte cose molto simili e per altri aspetti quasi agli antipodi, cresciuti in mondi, contesti, ere e vicende molto lontane. Vedi però di avere imparato e introitato geneticamente molte cose di quello che sei da tuo padre senza accorgetene: la precisione, l’amore per la concretezza, il senso etico di lavoro e dignità. Scavi nei ricordi e trovi le immagini e i racconti di una Torino e di un Piemonte dagli anni 60 agli anni 90 diverso da oggi, forse più ricco di uomini veri e di storie di persone con la schiena dritta e con la voglia di costruire senza mezzucci.