Non è evasione fiscale, ma a sentire la agenzia di notizie finanziarie ed economiche Bloomberg, quella fondata dal sindaco di New York Mike Bloomberg, il risultato è lo stesso. Google pagherebbe quest’anno al fisco americano solo il 2,4 per cento del reddito, anziché il previsto 35 per cento, e sarebbe perfettamente legale. L’anno scorso, aggiunge la Bloomberg, la Google pagò il 22 per cento, e nel 2008 poco più. In un triennio, avrebbe risparmiato oltre 3 miliardi di dollari. Il suo successo avrebbe indotto Facebook, uno dei siti più popolari, a intraprendere la stessa strada. Non sarebbe un’anomalia. Secondo la Bloomberg, anche la Microsoft di Bill Gates e altre protagoniste dell’informatica pagano molto meno tasse di quanto dovrebbero teoricamente, sebbene nel loro caso quel «meno» non sia di pubblico dominio.
Riferisce l’agenzia di notizie che Google negoziò con il fisco americano prima di rischiarne le ire. Ottenne di stabilire il centro delle sue operazioni globali in una filiale in Irlanda, dove le tasse sulle compagnie sono solo il 12,5 per cento del reddito. E, sfruttandone le leggi, ottenne anche di evitare in parte anche quelle tramite un’altra filiale in Olanda, cui avrebbe potuto e potrebbe tuttora trasferire i suoi guadagni. Dall’Olanda, i guadagni sarebbero finiti e finirebbero sempre legalmente alle Bermuda, uno dei tanti paradisi fiscali internazionali. Questa complessa manovra, battezzata «il sandwich olandese», sarebbe però adesso di nuovo all’esame del fisco.
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