Licenziata, in quanto sindacalista, ma il giudice le da ragione

In certe aziende si sfrutta la crisi per restaurare le prassi del ventennio fascista

Nel salotto buono, in piazza San Carlo. Lì, negli ovattati uffici di Intesa-Sanpaolo, secondo la Cgil e anche secondo il giudice, si consuma una sorta di persecuzione antisindacale. Una giovane donna, Cristina Burato, è dipendente di una azienda, la Fidelity, che svolge in appalto servizi di portineria nel prestigioso palazzo.
Lo scorso anno decide di iscriversi alla Filcams-Cgil – la categoria che si occupa dei più deboli nel mercato del lavoro come imprese di pulizia, addetti alle vendite, guardie giurate – e incomincia a parlare con i colleghi, a mettere in discussione orari e retribuzioni, a discutere con il contratto alla mano.

Dopo qualche mese – come racconta la segretaria della Filcams Elena Ferro – apre una breccia tra i suoi compagni e ne iscrive altri sei-sette. E a sua volta diventa delegata sindacale. Dice Ferro: «Tra mille peripezie riesce a fare qualcosa. Evidentemente dà fastidio». Dopo otto anni nello stesso posto viene spostata negli uffici di via Alfieri. Lavora da sola. E così la delegata rimane senza rappresentati e i lavoratori senza delegata. Con lei viene spostata una seconda lavoratrice, anche lei iscritta alla Filcams che però fa turni inversi a quelli di Cristina.

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Il governo si inventa una nuova legge contro i lavoratori

Via Repubblica Aggirare l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, quello che tutela dal licenziamento senza giusta causa, e anche altre norme della nostra legislazione sul lavoro. Ma senza dirlo, almeno direttamente. La nuova legge sul processo del lavoro presentata dal governo è ormai a un passo dall’approvazione: questa settimana dovrebbe concluderne l’esame la Commissione Lavoro … Leggi tutto

Caso Google privacy: attendere e capire è meglio che sbandierare partiti presi

Un tentativo equilibrato e prudente di commento da parte Carlo Felice Dalla Pasqua sulla sentenza odierna della Procura di Milano contro Google

Strano paese l’Italia, dove si dice che senza conoscere le motivazioni non si può commentare una sentenza e dove, poche ore dopo, proliferano già i commenti pro o contro (soprattutto contro) la sentenza con la quale sono stati condannati tre dirigenti di Google.  Senza dare giudizi definitivi, partiamo dal presupposto che internet ha radicalmente cambiato i comportamenti e le abitudini sociali di molti (e quindi devono cambiare le leggi che regolano quei comportamenti), ma non può essere un luogo legibus solutus. Evitiamo quindi di gridare allo scandalo per partito preso.

Certo, se il giudice avesse stabilito che Google è responsabile semplicemente per aver messo a disposizione la piattaforma, ossia lo spazio, sul quale altri hanno commesso reati a sua insaputa, si tratterebbe di un esempio pericoloso. Sarebbe come dire che Trenitalia è responsabile se avviene un delitto su un vagone di un suo treno o che l’Anas deve essere condannata per un incidente avvenuto su un tratto di strada da lei gestito. O come se fosse colpa vostra se invitaste qualcuno a casa per un caffè e questa persona cominciasse a sfasciare quadri, mobili e soprammobili. Perché, mutate poche cose, quello è il ruolo di Google nel caso in questione. Certo, può essere accaduto che un giudice abbia clamorosamente sbagliato valutazione: è già accaduto, per esempio, che un giudice di Aosta abbia equiparato un blogger al direttore responsabile di un giornale, tanto per non uscire da internet.

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Condannati per violazione della privacy i responsabili di Google per il video del ragazzo Down torinese

Il tribunale di Milano ha condannato i tre dirigenti di Google per violazione della privacy per non avere impedito nel 2006 la pubblicazione sul Google video di un filmato in cui un minore affetto da sindrome di Down veniva insultato e picchiato da quattro studenti di un istituto tecnico di Torino. A tre imputati sono … Leggi tutto

Arrestate Scaglia, commissariate Fastweb e Telecom Italia Sparkle

Via Repubblica.it (per aggiornamenti sul tema il blog di Stefano Quintarelli)

Una colossale operazione di riciclaggio di denaro sporco per un ammontare complessivo di circa due miliardi di euro è stata scoperta dai carabinieri del Ros e dalle Fiamme Gialle: 56 le ordinanze di custodia cautelare emesse dal Gip di Roma su richiesta della Procura Distrettuale Antimafia. Ordine d’arresto anche per Silvio Scaglia, il fondatore di Fastweb. Il provvedimento restrittivo, però, non è stato ancora eseguito perché Scaglia non è stato rintracciato dai carabinieri del Ros e dalla Guardia di Finanza. L’imprenditore, che in una nota inviata alle agenzie di stampa si dice estraneo a qualunque reato, ha dato mandato ai suoi difensori di concordare il suo interrogatorio nei tempi più brevi per chiarire tutti i profili della vicenda. Indagato anche Stefano Parisi, amministratore delegato di Fastweb a partire dal primo novembre 2004.

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Toro dimesso

Via La Nazione Il procuratore aggiunto di Roma Achille Toro, indagato nell’inchiesta avviata a Firenze sugli appalti, si è dimesso dalla magistratura. Lo ha fatto inviando una lettera al procuratore della Repubblica di Roma Giovanni Ferrara che domani la inoltrerà al ministro Guardasigilli e al ministero di Grazia e Giustizia e al Consiglio superiore della … Leggi tutto

Una normativa seria sul whistleblowing, il soffiare civile nei fischietti

In questi giorni in cui si rivedono i sintomi di una corruzione pubblica e in cui la crisi permette a manager senza scrupoli e senza controlli di prendere atteggiamenti e provvedimenti al di fuori delle leggi varrebbe la pena di rispolverare uno strumento legale che ha ottenuto buoni risultati nei paesi anglosassoni: il whistleblowing Il … Leggi tutto

Siamo vicini al dies irae nel giornalismo italiano

Il solito prezioso Franco Abruzzo, che nel suo sito riporta notizie da ogni fonte che riguardano il giornalismo italiano, rilancia le informazioni relative a uno scontro senza precedenti fra Ordine dei Giornalisti e FNSI.

I temi del contendere sono diversi: divergenze di opinioni sul nuovo contratto,  problemi relativi a una definizione dei percorsi professionali, richieste di numero chiuso o programmato, la difesa dei diritti dei liberi professionisiti, scontri interpersonali e altro.

Il dies irae del giornalismo italiano si sta avvicinando. I problemi sono tali e tanti che forse solo una soluzione drastica potrebbe risolverli. Cerchiamo di elencarli per cercare di aprire un dibattto. Se la situazione venisse seriamente interpretata per quello che  è si potrebbero trovare delle soluzioni cercando attraverso un comitato di salute pubblica di pensare un futuro serio e possibile.

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Impediti

Via Repubblica.it

Via libera della Camera al disegno di legge sul legittimo impedimento. I voti a favore sono stati 316, quelli contrari 239, le astensioni 40. I deputati presenti erano 595, quelli votanti 555. Il provvedimento passa ora all’esame del Senato. Hanno votato sì Pdl, Lega, Mpa, Noi Sud e Pri; i no sono giunti dal Pd, dall’Idv e dall’Api, mentre le astensioni sono venute da Udc, Svp e Ld. I franchi tiratori, all’interno della maggioranza, sarebbero stati quattro.

Il provvedimento di fatto congela i processi del presidente del Consiglio. Si tratta di un dispositivo ponte, in attesa del cosidetto “lodo Alfano costituzionale” che dovrà definire una disciplina organica. Ma intanto, per un periodo di tempo di 18 mesi, Silvio Berlusconi può avvalersi del legittimo impedimento a comparire nelle udienze dei processi, per impegni legati alle funzioni di governo. “Andava fatta e l’abbiamo fatta – ha commentato a caldo il ministro leghista nonché ministro delle Riforme, Umberto Bossi – c’è sempre qualche moralista, ma questa è la dimostrazione che la maggioranza è molto forte”.

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