Continua la caduta libera dei giornali cartacei

Via Pazzo per Repubblica Secondo i dati trasmessi dagli editori alla Fieg, il mese di giugno si conferma negativo per le diffusioni dei quotidiani. Nonostante il clamore per i festini a Villa Certosa e Palazzo Grazioli, La Repubblica (che ha seguito giorno per giorno le note vicende che hanno visto coinvolto il presidente del Consiglio) … Leggi tutto

Editoria in tempi di crisi: la lezione di Economist e Bild

Via Corriere.it

La vita è curiosa. Nel 2006 The Economist profetizzava, con pi­glio provocatorio, la scompar­sa dalle edicole dell’ultimo quotidia­no nel 2043. Ora la recessione accele­ra i processi. Molti quotidiani e setti­manali, travolti dal calo della pubbli­cità, vanno male. Ma The Economist Group no. Anzi, il 31 marzo 2009 ha chiuso il suo bilancio record. Quando diede l’allarme al resto dell’informa­zione, la Cassandra londinese dichia­rava ricavi per 218 milioni di sterline con un utile netto di 22. Adesso, gua­dagna 38 milioni su 313 fatturati. L’al­fiere della globalizzazione – lettura obbligata dell’iperclasse che trasvola sulle patrie – miete i suoi successi. Vende quasi 1,4 milioni di copie, il doppio di 10 anni fa, il quintuplo ri­spetto agli anni Ottanta. Dell’autorevolezza della testata, fondata nel 1843 da James Wilson, un sostenitore del free trade, si sa tutto. Rupert Pennant-Rea, già direttore ne­gli anni Ottanta, è stato vicegoverna­tore della Banca d’Inghilterra e ora presiede l’editrice. Negli anni Trenta, Luigi Einaudi, esule volontario dal Corriere espugnato dal fascismo, era il corrispondente dall’Italia. Si sa me­no, invece, dell’azienda.

The Econo­mist Group riunisce, attorno alla sto­rica ammiraglia, mensili specializza­ti, siti internet, l’Economist Intelli­gence Unit e il notiziario del Congres­so Usa, Roll Call, cui si è aggiunto Ca­pitol Advantage, comprato l’anno scorso per 21 milioni di sterline forni­ti senza battere ciglio dalle banche benché – circostanza insolita a oc­chi italiani – il gruppo abbia un pa­trimonio netto negativo e l’acquisita abbia solo avviamenti. La verità è che, dopo oltre un secolo di bilanci contenuti, la società ha co­minciato a fare tanti soldi. E a distribui­re agli azionisti perfino un po’ di più di quanto guadagni. Negli ultimi 4 esercizi, ha pagato dividendi per 152 milioni avendo realizzato 126 milioni di profitti. Una scelta non rara nel Re­gno Unito: il London Stock Exchange si regola allo stesso modo. E resa possi­bile dal flusso di cassa abbondante. Ai soci interessa meno, evidentemente, il valore della società. In base al prezzo indicativo dell’azione a bilancio, il gruppo vale 500 milioni di sterline, ma la società non conferma perché non tutte le azioni sono uguali e The Econo­mist Group non è quotato. Anzi, una struttura proprietaria curiosa. Il capitale è infatti formato da 4 ca­tegorie di azioni: 100 azioni senza di­ritti patrimoniali ai trustees, 22,68 mi­lioni di ordinarie pressoché senza di­ritti di voto (gli Agnelli ne hanno ap­pena comprate 50 mila, parecchie so­no destinate ai dipendenti), 1,26 mi­lioni di azioni speciali A in mano a una novantina di soci tra i quali Lynn Forester de Rothschild con il 19%, e poi i Cadbury e gli Schroeders, e altret­tante di classe B di proprietà del Fi­nancial Times, gruppo Pearson, che le ha acquistate nel 1928. I 4 trustees controllano i passaggi azionari e le no­mine al vertice del giornale e della so­cietà.

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L’editoria italiana si finanzia in maniera alternativa

Una riflessione anomina di un collega rende l’idea di come va l’editoria in Italia Da anni le aziende editoriali si stanno “finanziando” attraverso ogni sfruttamento possibile sistematico e scientifico dei collaboratori. Se utilizzassero quelle che sono i compensi minimi per le prestazioni dei giornalisti stabiliti dall’Ordine avrebbero chiuso da tempo. E nessuno ha mai avuto … Leggi tutto

Il WSJ farà pagare la lettura dei contenuti dall’Iphone

Via Massimo Russo Il Wall Street Journal, come del resto già annunciato da Rupert Murdoch, si appresta a far pagare per le proprie applicazioni in mobilità. Per il momento gli utenti iPhone si sono visti sottoporre un sondaggio nel quale si chiede la loro disponibilità a pagare per avere pieno accesso al giornale, oggi del … Leggi tutto

Faranno di tutto per sopravvivere sempre che questo non implichi dei cambiamenti

Via LSDI

L’ industria dei giornali ha scelto il suicidio rituale: una scelta drastica e irrevocabile. Lo sostiene un giornalista Usa, Dan Conover, in un articolo pubblicato sul blog collettivo Xark, dal titolo ‘’ The newspaper suicide pact’’, che Bernardo Parrella rilancia sul suo sito, Bernyblog, con toni un po’ apocalittici.

Il problema, spiega Conover, è la questione del paid content, dei contenuti a pagamento, di cui si sta ricominciando a parlare in maniera insistente e che è stata al centro di un recente summit organizzato dalla NAA (l’ Associazione dei giornali Usa) a Chicago.
Apparentemente, sostiene Conover, può sembrare una idea ragionevole che i cittadini possano pagare per dei contenuti, prodotti in maniera professionale, che essi consumano. Ma in realtà si tratta di una petizione post-razionale ritenere che i consumatori abbandonino consuetudini maturate nell’ ultimo decennio a favore di comportamenti che dovrebbero riportare le aziende editoriali a quei margini di profitto decretati per loro da Dio Onnipotente.

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Disruptive journalism

Via Webgarden Una cosa che troppo spesso si tende a trascurare è che non esistono strategie ma solo strateghi. Analogamente non esistono azioni ma solo attori. Quello che intendo dire è che l’investimento principale è sulle persone. Sono le persone a compiere le azioni e fare l’innovazione, solo le persone possono fare davvero la differenza. … Leggi tutto

Giornali e crisi: istruzioni per l’uso

Via EJO e LDSI

“Per cogliere le opportunità del nuovo mondo editoriale, tutti devono cambiare approccio: giornalisti, editori, pubblicitari”.  La nuova ricerca dell’Osservatorio europeo di giornalismo, condotta da Piero Macrì con la supervisione di Marcello Foa, parte da una constatazione paradossale: i giornali non sono mai stati letti come ora. Tuttavia l’editoria è in una crisi che non è passeggera, ma strutturale. Per capire come affrontarla bisogna considerare diversi aspetti.

Di seguito la sintesi analitica della ricerca.
1) Nonostante il notevole aumento dei lettori online, la pubblicità non aumenta proporzionalmente. Anzi, gli incrementi sono poco significativi e la migrazione della pubblicità dalla carta all’online è molto contenuta: il valore dell’investimento pubblicitario su web mediamente non supera il 10% dei ricavi complessivi dei giornali.
2) Il tentativo di imporre accessi a pagamento sembra avere poche possibilità di successo: i lettori sono abituati a ottenere gratis le informazioni e tendono a rifìutare qualsiasi forma di abbonamento o micropagamento. Un cambiamento di tendenza potrebbe essere possibile solo in presenza di una strategia condivisa dai principali gruppi editoriali. In questa prospettiva vanno considerate le mosse di  Rubert Murdoch, che si è detto intenzionato a estendere la formula a pagamento, oggi attiva sul Wall Street Journal, ad altri siti web dei giornali di proprietà di News Corporation. Basterà il traino di Murdoch a cambiare le dinamiche?

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WWP: World Wide Pay

La scelta di una parte degli editori italiani, che va però modulata con chiarezza nei tempi e nei modi, di portare in rete prevalentemente informazione a pagamento e non retribuita dalla pubblicità, richiede che si mettano d’accordo praticamente tutti gli editori mondiali: eventualità non propriamente praticabile. Dopo il consorzio WWW il consorzio WWP ? «Credo … Leggi tutto

Scenari editoriali mutanti

Simona Lodi da Toshare

Bruce Sterling ha iniziato a parlare della collisione tra mondo della carta stampata e mondo digitale, uno scontro molto forte, dai risultati ancora imprevedibili. Vent’anni fa si dava per scontato che la carta stampata sarebbe scomparsa e che giornali e libri sarebbero diventati digitali.

Questa previsione non si è avverata totalmente, ma oggi i giornali cartacei stanno scomparendo e gli scrittori si stanno sempre più confrontando con la distribuzione in rete di contenuti e notizie. E’ in corso una transizione verso una terra di nessuno, non solo cartacea, ma nemmeno totalmente digitale.

Il ruolo degli autori migra verso rappresentazione che oggi non ha un contorno preciso, perché non c’è un pubblico unico e non c’è un modello di business in rete che può sostituire quello della carta stampata. E se anche in Italia questo cambiamento sarà meno impattante, anche qui i giornali si stanno spegnendo, con la conseguenza che gli scrittori non hanno più  luoghi di prova né un terreno fertile per la loro notorietà. Inoltre, secondo Sterling, anche i mezzi di produzione e distribuzione stanno subendo un cambiamento.

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