Alessandro Gilioli ha scritto un articolo da far leggere a tutte le persone che credono nella civiltà e nella civiltà dell’informazione. Per correttezza ne cito solo i passi salienti, La forza e il contenuto della rivoluzione che propone sarebbe normalità altrove, qui è ancora atipia.
Quando ho iniziato a fare questo mestiere, noi venivamo educati all’idea che i giornalisti giudicano ma tendenzialmente non devono essere giudicati. Era una sorta di immunità presunta, derivata dal postulato secondo il quale il giornalista raccontava fatti e/o esprimeva opinioni sempre in buona fede, senza cointeressenze personali, senz’altre ambizioni che non fossero quelle di fare il cronista o di contribuire al dibattito politico, culturale, economico etc. Era una balla, naturalmente: i giornalisti – in buona parte – non sono mai stati così, almeno in Italia. Siamo sempre stati una categoria in cui alle non moltissime schiene diritte si mescolavano le penne a zerbino: per conformismo, convenienza, ambizione personale, fedeltà di partito, subalternità ai poteri, complicità, privilegi piccoli o grandi e altre ragioni ancora.