Alla ricerca dei piani industriali per l’auto elettrica di Renault

Via Repubblica

Una spy story industriale che si sta trasformando in un affare di Stato: la Renault sospende tre alti dirigenti, sospettati di aver divulgato dettagli sulle “attività strategiche” del costruttore, cioè sul principale progetto industriale: l’auto elettrica. Un business nel quale Renault e l’alleato Nissan hanno investito 4 miliardi. L’azienda – decisa la sospensione – annuncia anche una denuncia penale. E il ministro dell’Industria, Eric Besson, confida la sua preoccupazione: “Se confermati, questi fatti sono molto seri. Questo è un episodio di guerra economica che ci porterà a rafforzare la protezione del nostro segreto industriale”. Lo Stato ha ancora il 15% di Renault.

L’azienda ha indagato sui tre manager fin dall’estate dopo la segnalazione di un dipendente. Secondo il direttore giuridico della Renault, “l’inchiesta, durata parecchi mesi, ha svelato elementi convergenti. Riteniamo che i tre collaboratori mettevano a rischio coscientemente alcune attività aziendali”. La sospensione era urgente, “per proteggere senza attendere le nostre attività intellettuali e tecnologiche”.

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Un diverso punto di vista sul mercato automobilistico italiano

Via Dagospia

Un milione e mezzo di auto prodotte in Francia nei primi nove mesi del 2010. In Germania 4,1 milioni circa, oltre 930mila in Gran Bretagna e 1,4 milioni in Spagna. Solo 444mila in Italia. Parliamo di fior di Paesi europei che, in un anno certo non di grande boom, hanno prodotto in casa loro una enorme quantita’ di auto, con leggi civili e costi europei. E per carita’ di Patria non citiamo Polonia e Repubblica Ceca, che qualcuno potrebbe non ritenere paragonabili in tutto e per tutto all’Italia.

Questi dati desolanti pubblicati oggi da Repubblica , e con la precisazione ad esempio che in Germania l’operaio guadagna 500 euro al mese più’ del collega italiano, sono un macigno sulle tante balle spacciate da anni dalla Fiat e dai suoi giornali e politici amici. Il problema dunque non e’ la globalizzazione, ne’ la Fiom Cgil che pure qualche suo problemino culturale lo ha. Il problema sono la Fiat, il suo management e la famiglia che ne mantiene il controllo con l’aiuto di molti soldi altrui.

Ieri era uscito un altro dato: Audi investira’ in quattro anni oltre 11 miliardi, dei quali circa meta’ in Germania. Marchionne, ma di cosa stiamo parlando? Qui ci sono sul tavolo 11 miliardi di investimenti della sola Audi, non certo un produttore di auto di massa per il popolo. La grande abilita’ della Fiat e’ stata in questi anni far credere a tutti che c’era un problema di mercato mondiale di cui era vittima la Fiat, ma che, soprattutto, le auto non si vendono perche’ per motivi di contesto esterno si produce poco e male in Italia. E’ vero l’esatto contrario: si progettano e si vendono male le auto fiat sicche’ la produzione in Italia cala a livelli ridicoli.

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Il referendum sull’accordo di Mirafiori il 13 e 14 gennaio

Si prevedono giorni intensi e forti campagne di condizionamento Via Repubblica La data è stata decisa: il referendum sull’accordo per il rilancio dello stabilimento di Mirafiori si terrà il 13 e 14 gennaio. Lo si apprende da fonti sindacali, secondo le quali l’esito della votazione si potrà conoscere già nella serata di venerdì. I primi … Leggi tutto

Compro oro

Via Lastampa.it

Difficile, ormai, girare per la città senza imbattersi nei loro sgargianti inviti: «compro oro», «pago in contanti». Complice la crisi e le performances borsistiche da star del metallo bene rifugio per eccellenza, questi negozi con le insegne gialle e cubitali, le vetrine rigurgitanti di luci e di promesse, sembrano moltiplicarsi un po’ ovunque. Dalla Questura spiegano che a Torino e provincia, solo nel corso del 2010, sono state richieste più di cento licenze. Cifre di tutto rispetto se pensiamo che nel capoluogo piemontese (dati Camera di Commercio) ci sono oggi 340 gioiellerie. O meglio, 340 «commercianti al dettaglio di orologi e gioielli». Il guaio è che i mister «compro oro» sono inquadrati nella medesima categoria dei gioiellieri «normali». E il monitoraggio puntuale delle licenze da parte della Questura è stato avviato solo dal 2010. Impossibile, dunque, misurare l’incremento di queste attività rispetto al passato. Ma le oltre cento licenze richieste e una semplice occhiata fra le vie della città, autorizzano comunque a parlare di un vero e proprio «boom» del fenomeno.

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Ipo fai da te per Goldman Sachs e Facebook

Via NYt Goldman Sachs has reached out to its wealthy private clients, offering them a chance to invest in Facebook, the hot social networking giant that is considering a possible public offering in 2012, according to people familiar with the matter. On Sunday night, a number of Goldman clients received an email from their Goldman … Leggi tutto

Il giorno più lungo per Fiat

Via Lo Spiffero

Giornata storica per la Fiat dopo lo scorporo della società. L’amministratore delegato, Sergio Marchionne, presente come padrino al battesimo delle contrattazioni in Borsa di Fiat Industrial, l’azienda del gruppo che produce camion e trattori, separata da Fiat Spa, alla quale sono rimasti l’auto e altri asset. Chi detiene azioni “ex-Fiat” avrà in portafoglio entrambi i titoli del Lingotto. Mentre il mondo economico tiene gli occhi puntati su Piazza Affari, resta però un altro grande tema sul tappeto, i rapporti tra Cgil e Fiom in vista del referendum sull’accordo di Mirafiori: tema nel quale si inserisce anche Sergio Cofferati, che scende in campo a fianco dei metalmeccanici.

Chi detiene azioni “ex-Fiat” avrà dunque in portafoglio entrambi i due titoli del Lingotto scambiati a partire dal 3 gennaio: per ogni azione Fiat riceverà un’azione Fiat Industrial della stessa categoria. Le “scommesse” degli investitori sul valore che il mercato darà ai due titoli hanno portato, giovedì all’ultima chiusura di Borsa, le “vecchie” azioni Fiat a 15,43 euro (+2,94%). Rispetto a questo valore, se il mercato confermerà le stime del consensus di analisti raccolto da Bloomberg (Fiat 6,65 euro, 9,40 Fiat Industrial) i due titoli, insieme, verranno quotati con un premio di circa il 4%.

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Basta fare bene le cose e queste funzionano: altro che crisi dell’informazione

Peter Gomez su IlfattoQuotidiano

Il meglio deve ancora venire: archiviato il 2010 l’unica promessa che ci sentiamo di fare è questa. Come sono andate per noi le cose, del resto, lo sapete già: sono andate bene. L’avventura de Il Fatto Quotidiano, con le sue oltre 100.000 copie giornaliere, e quella de ilfattoquotidiano.it, con i suoi 250milia utenti unici che a volte superano abbondantemente i 300.000, dimostra che non ci eravamo sbagliati. Davvero in Italia, anzi sopratutto in Italia, c’era spazio per un’impresa editoriale che avesse un unico fine: scrivere tutte le notizie che i suoi giornalisti erano in grado di trovare.

In questi mesi si è parlato spesso di crisi dei media, della carta stampata che verrebbe uccisa da Internet, di giornali costretti a licenziare o a mettere in cassa integrazione i colleghi. Nessuno, o quasi, si è invece posto una domanda semplice, semplice: perché un lettore o un navigatore dovrebbe scegliere un quotidiano o un sito internet piuttosto che un altro?

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Vittime della crisi (e della serietà) : Vagnino

Via Lastampa.it

Dopo quasi novant’anni di attività, «Da Vagnino c’è» non c’è più. Oggi infatti la catena di cartolerie nata nel cuore di Torino vivrà l’ultimo atto di una storia cominciata nel 1922, quando, in via Lagrange, per opera di Francesco Vagnino, nasceva il primo negozio di cancelleria, forniture per ufficio e materiale da disegno della famiglia.

L’ambizioso progetto si avvaleva di uno scrupoloso credo commerciale che Vagnino definiva così: «La mia soddisfazione è la soddisfazione del cliente soddisfatto, e la fiducia del pubblico è cosa sacra». Una filosofia tramandata al figlio Riccardo, che nei primi Anni 60 ha assunto la direzione dell’azienda. Nello steso periodo Vagnino apriva un nuovo negozio in corso Francia, seguendo una strategia di espansione aziendale che nel 1972 sfocerà in un’altra apertura a Mirafiori.

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Marchionne uomo dell’anno per il Sole 24 Ore

Via Sole24Ore

Fino a qualche mese fa Sergio Marchionne era esaltato con quei facili entusiasmi di cui gli italiani sono maestri. Innovatore, salvatore della Fiat, emigrante di ritorno, schivo uomo del pullover ignaro dello chic dei doppiopetto gessati. Di lì a poco ecco il rovescio dell’adulazione di casa nostra, l’insulto, lo schizzo di fiele, la denigrazione. In poco tempo il Ceo della Fiat è passato da patriota dell’automobile, austero abruzzese figlio di un carabiniere, a filibustiere, padrone assetato di profitto, «illiberale» secondo i moderati della Cgil, «fascista» secondo gli intemperanti della Fiom.

Naturalmente l’incenso di prima (perfino l’ex presidente della Camera Bertinotti ne aveva usato un po’) e le uova marce di oggi (perfino la destra ne fa uso, per non essere tagliata fuori dal populismo) non nascondono la realtà: Marchionne ha deciso di smentire le previsioni nette dell’Economist e del Financial Times che annunciavano la morte certa della Fiat e salvare la produzione di auto in Italia. Il patto con la Chrysler, benedetto dal presidente Obama, costringe Fiat alla realtà: o si produce come produce il mondo, o l’Italia non avrà più manifattura di auto. La Fiom parla di «diritti» come se tutti nel mondo non avessero diritto a un lavoro e una vita dignitosa: ma, dimentica dei suoi maestri come Bruno Trentin, non si rende conto che i diritti vanno creati nella realtà, non postulati in astratto.

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