Luca De Biase sui costi del giornalismo
Strano destino quello del giornalismo all’epoca di internet. Liberato da mille vincoli tecnologici, sembra condannato a fare i conti con i vincoli economici. E di fronte a questo apparente paradosso, esplora compulsivamente ogni possibile alternativa: nei modelli di business, nei linguaggi, nelle organizzazioni produttive e distributive. Senza trovare, per ora, un nuovo equilibrio. È questa l’impressione emersa anche dal panel dedicato all’argomento al recente Digital Life Design, il mega convegno realizzato da Burda a Monaco.
«La carta costa troppo e finirà», spara Mike Arrington, fondatore di TechCrunch. «La qualità è ancora un valore», testimonia Tyler Brûlé, fondatore di Monocle. «Dobbiamo continuare a servire le persone che comprano il giornale in edicola come i nuovi lettori online», osserva Carlolyn McCall, chief executive del Guardian Media Group. Jeff Jarvis, blogger a Buzzmachine e docente alla City University of New York Graduate School of Journalism, teorizza: «Cominceremo a riconsiderare il giornalismo per le sue componenti funzionali, dalla scoperta di notizie alla selezione, dalla gestione dei contenitori alla distribuzione, dalla vendita di contenuti alla connessione con i messaggi pubblicitari… Non è detto che tutte queste funzioni verranno sempre svolte da organizzazioni integrate verticalmente».
Ogni punto di vista è giustificato. Dalla storia di chi lo propone o dell’organizzazione a cui appartiene chi lo propone. E dalla complessità oggettiva di qualunque ipotesi di sviluppo futuro nell’ecosistema dell’informazione che si va generando intorno alla digitalizzazione dei media e alla sempre più chiara partecipazione attiva del pubblico nella produzione e diffusione di notizie e opinioni sull’attualità. Ma è chiaro che internet ha costretto i giornali a ripensarsi in profondità. Aprendo la strada a nuove imprese a bassissimo costo, come TechCrunch, ma anche generando impensate opportunità per oggetti cartacei altamente selettivi come Monocle. Il vero dilemma è per le imprese che servono persone che sono prima di tutto cittadini. «La democrazia ha bisogno di qualcuno che faccia inchieste, risponda al puro e semplice bisogno di informazione della comunità, vada in Afghanistan e racconti quello che sta davvero succedendo laggiù. E questo costa. Carta o non carta» osserva McCall.In attesa della carta elettronica, ormai prossima dopo il nuovo salto tecnologico ottenuto dai laboratori dell’Hp usando un film di plastica della DuPont, il giornalismo si sta già riclassificando. Non più in base ai media che utilizza per diffondersi. Ma in base allo scopo sociale ed economico che persegue. Sicché anche i modelli di sostenibilità e di profittabilità si differenziano. Alcuni giornali, più settoriali, possono forse vivere soltanto online e soltanto di pubblicità. Altri, orientati alla visione, alla critica, al gusto, possono farsi pagare da lettori e inserzionisti che li vedono come forme di design delle idee e della loro espressione. Altri ancora, orientati soprattutto a servire il dibattito democratico, hanno bisogno soprattutto del sostegno delle loro comunità di riferimento. Ma dovranno imparare a giustificare quel sostegno con uno sforzo di qualità profondamente rinnovato.