A suon di decreti (112, 133, 137) e senza specialisti, si delinea e si prepara la più rapida e forse più impopolare riforma (o controriforma) che si sia mai vista. E mentre ci si appassionava, grazie alle disposizioni urgenti del decreto 137, alle diatribe sul voto in condotta e sul maestro unico, la ministra e il suo staff procedevano, nel perfezionamento per la conversione in legge, nella parte più dolorosa e infida, quella dei tagli: di risorse, di insegnanti, di scuole, di classi.
Qualche tempo fa, su Repubblica, Salvo Intravaia, prendendo spunto dalla bozza di riforma presentata ai sindacati, faceva il punto su come dovrebbe cambiare la scuola. Sintetizzo, ispirandomi al suo prezioso lavoro, per cercare di dare, tra le polemiche, un quadro complessivo non tanto delle polemiche ma di quanto dovrebbe accadere, così che ognuno possa valutare, secondo coscienza e ovviamente secondo le proprie inclinazioni sociali e politiche, se è il caso di agitarsi e di preoccuparsi o no. Vediamo, in sintesi, il quadro della scuola che ci aspetta.
Tre le direttici del piano: revisione degli ordinamenti scolastici, dimensionamento della rete scolastica italiana, razionalizzazione delle risorse umane, cioè tagli. Le classi saranno più numerose: fino a 29 alunni all’asilo, fino a 30 nelle prime delle medie e delle superiori. L’organizzazione oraria della scuola materna rimarrà sostanzialmente invariata. Saranno reintrodotti gli anticipi morattiani, con la possibilità di iscrivere i bambini già a due anni e mezzo, e nelle piccole isole o nei piccoli comuni montani l’ingresso alla scuola dell’infanzia potrà avvenire, per piccoli gruppi di bambini, anche a due anni. In pratica sarà confermata l’esperienza delle sezioni primavera per i piccoli di età compresa fra i 24 e i 36 mesi.