Via LSDI
Il confronto era già teso fra la « vecchia generazione », quella che era stata reclutata in gran parte prima della « esplosione demografica » degli anni 1980-90 e che oggi è al comando nelle redazioni, e la « giovane generazione », più numerosa e meglio formata, ma proletarizzata, e che vede il suo avvenire bloccato dal momento che le promozioni sono riservate a una piccola « elite » al suo interno, uscita da qualche centro formativo privilegiato o favorita da un nepotismo che non è mai stato così pesante come oggi.
Questo confronto diventa esplosivo quando si sovrappone a questa tensione generazionale un rivolgimento economico e tecnologico dell’ insieme del settore, che non era stato previsto e che viene spesso affrontato con una logica di poltrone più che di adattamento.
La giovane generazione, che non vede mai « venire il proprio turno », accumula tante più frustrazioni in quanto si sentirebbe ben più a suo agio con gli adattamenti richiesti dal quadro economico e tecnologico che però tardano ad essere realizzati: una concezione più « flessibile » e più polivalente del mestiere, una migliore padronanza degli strumenti tecnologici (informatica, internet, audiovisisivo), una migliore comprensione delle poste sociali del cambiamento tecnologico.
Nella misura in cui la vecchia generazione di giornalisti mostra oggi la profondità della sua difficoltà ad adattarsi ed accumula errori strategici di fronte allo sviluppo di internet, la frattura generazionale non fa che approfondirsi.