I cybersoviet sono le comunità virtuali create dal popolo della rete. E di conseguenza la democratizzazione del Web 2.0 non prelude a una presa del potere dai parte dei produttori/consumatori, bensì «all’espropriazione capitalistica dell’intelligenza collettiva generata dalla cooperazione spontanea e gratuita di milioni di donne e uomini». La tecnologia «dà l’illusione di aprire le porte alla libertà, ma poi spesso ci si ritrova in stanze vuote chiuse a chiave» avverte Stefano Rodotà, ex Garante per la privacy. Un esempio? The Economist cita la falsa e-democrazia di un indirizzo Internet diponibile per comunicare con un premier, che in realtà collega i cittadini solo a un computer: in cambio di questa promessa di accesso, subiamo la volontà di controllo di governi e aziende. «Il potere politico ed economico sa oggi infinitamente più cose sui cittadini di quante essi non ne sappiano sui potenti».
Dal Web 2.0 emergono nuove disuguaglianze, smentendo il mito di una nuova «giustizia distributiva»: il cosiddetto «digital divide» non si riferisce solo a chi ha e chi non ha accesso a Internet, ma alla stratificazione sociale che si crea fra differenti categorie di utenza: l’élite rispetto alla massa. «E’ ora di decostruire l’inganno del Web 2.0», sintetizza il teorico dei media australiano-olandese Geert Lovink, nella raccolta di interventi dal titolo «Web 2.0: Internet è cambiato. E voi?») di Vito di Bari. «Invece di celebrare i “dilettanti”, dobbiamo sviluppare una cultura di Internet che aiuti i “dilettanti” (in maggioranza giovani) a diventare “professionisti”». Perché Beppe Grillo riempie le piazze, ma sono sempre troppo poche le voci che chiedono ai governi di adottare e applicare regole chiare e condivise per l’e-democrazia.
2 commenti su “Cybersoviet”
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Bello cybersoviet! Mi piace.
Carlo Formenti deve sempre avere sta visione triste e disinllusa delle cose. Prima con la new economy ora con il Web2.0, Grillo e la partecipazione.
Che torni al fax allora…