Vista la situazione: meglio chiudere l’INPGI di pochi …
Per l’elezione dei membri attivi nel Consiglio generale ha votato il 23,77% degli aventi diritto, 5.687votanti (3.772 via web e 1915 al seggio) su 23.928 elettori. Per i pensionati hanno espresso il voto il 36.41% degli aventi diritto, 1.886 votanti (1018 via web e 868 al seggio) su 5.180 elettori. Infine, per quanto riguarda il rinnovo del Collegio sindacale ha votato il 24.87%, 7.238 votanti (4.467 via web e 2.771 al seggio) su 29.108 elettori. Relativamente alla Gestione separata Inpgi 2, per l’elezione del Comitato amministratore è stata registrata un’affluenza pari all’ 15.75%, corrispondente a 4.633 votanti (3.406 via web e 1.227 al seggio) su 29.407 aventi diritto. Per l’elezione dei rappresentanti dell’Inpgi 2 in seno al Collegio sindacale hanno votato 4.557 elettori (3.330 via web e 1227 al seggio) su 29.407 aventi diritto, con una affluenza quindi pari all’15.50%.
Ottime considerazioni sul tema via Stefano Tesi
Fantastico, sembra di essere tornati ai rutilanti titoli postelettorali dell’Unità e del Popolo ai tempi della prima repubblica: “Crollo DC, il PCI tiene”, diceva la prima se i democristiani perdevano il 2% e i comunisti l’1%. A parti invertite, i toni restavano gli stessi.
Il massimo, poi, era nelle interviste tv: tutti avevano vinto. Male che fosse andata, erano comunque soddisfatti. E in ogni caso c’era sempre qualcuno a cui era andata peggio.
Lo stesso, a trent’anni di distanza, accade in questo melenso giorno dopo le elezioni per l’Inpgi uno e due.
Nessuno, nemmeno se ne è uscito con le ossa rotte, ammette di aver perso. Al massimo si parla di “qualche errore” o di “strategie da rivedere”. Insomma, è stato un successo. Anche se non si è strappato nemmeno un eletto, anche se chi aveva la poltrona l’ha persa, anche se intorno resta buio pesto.
E la cosa più paradossale è che hanno ragione. Perchè in realtà a vincere è stato il sistema. Un sistema a cui tutti, alla fine, si sono adattati, divenendone parte. Il sistema dei partiti, delle coalizioni, delle parrocchiette. Che nel bene e nel male condizionano – anzi, sono proprietari – del voto.
Un voto in cui, va da sè, cointeressi, organizzazione, esperienza, mestiere, mani in pasta, controllo capillare, coesione ideologica o partitica la fanno da padroni. E per l’ennesima volta hanno dimostrato di poter prevalere su qualunque logica di contrapposizione. Perchè la legge è una sola: o si vota con le mie regole o non si vota. E se si vota, poichè le regole sono mie, vinco.
Non voglio stare qui ad imbarcarmi in entomologiche analisi elettorali, materia quantomai nauseabonda.
Dico solo che, se da qualche parte non ho letto male, hanno votato appena il 16% degli aventi diritto (per i dati ufficiali vedi in fondo a questo post). Il che vuol dire che, se così fosse, c’è un partito di maggioranzissima assolutissima che ha rinunciato a comandare. Nel nome della sfiducia che la minoranzissima minoritarissima ha saputo stabilmente infondere nell’elettorato.
Poi ci sono gli abbagli dettati dall’ingenuità, dalla malizia, dall’eccitazione del momento. Si giosce sbagliando i conti, o confrontando numeri non omogenei. Le percentuali si contano sui votanti, ad esempio, e non su quelli che votarono quattro anni fa. Un arco di tempo il cui il giornalistificio ha vomitato non a caso “aventi diritto” a bizzeffe, mutando pesantemente gli equilibri.
Per non dire di chi sciaguratamente confida nell’effetto-tempo e si consola valutando che, vabbè, rappresentanti nessuno ma come coalizione abbiamo preso parecchi voti, la prossima volta vinceremo. Domanda: con quest’andazzo professionale, ci sarà una prossima volta? E ci saremo ancora per votare? Mah!