L’accordo alla Fiat voluto da Sergio Marchionne pone fine al contratto nazionale di lavoro che aveva caratterizzato le relazioni industriali di questo dopoguerra e supera di fatto l’accordo del 1993 che aveva consentito di battere l’inflazione e di far entrare l’Italia nell’euro. L’accordo di Mirafiori rappresenta il primo contratto aziendale che viene a sostituire quello nazionale. Se anche qualche azienda della filiera dell’auto dovesse successivamente agganciarsi all’accordo, non per questo esso tornerebbe a essere un contratto nazionale. Ed è da prevedere che altre grandi aziende si avvieranno su questa strada. Già nei giorni scorsi Fincantieri ha denunciato il suo disagio con il contratto di lavoro e con l’assistenza della Confindustria in alcune provincie.
C’è una logica in questa tendenza. Le grandi imprese sono sempre meno interessate al mercato nazionale e guardano ai mercati internazionali. Inoltre, il riferimento settoriale con cui si costruiscono i contratti di lavoro sta tramontando. Le imprese sono interessate più ai mercati di sbocco che alle classificazioni settoriali di natura merceologica. Si delinea così un quadro di relazioni industriali dove saranno le singole imprese a decidere se far ricorso a un contratto aziendale o se applicare il contratto nazionale. Quest’ultimo finirà per essere essenzialmente il contratto delle piccole imprese, ossia di quelle aziende che pensano di non avere strumenti per negoziare un contratto autonomo. Sono anche imprese che non vedono di buon occhio lo svilupparsi di una concorrenza attraverso contratti differenziati per accaparrarsi i migliori lavoratori. Proprio per evitare una tale concorrenza, alcune di esse faranno ricorso a contratti territoriali. Il contratto nazionale costituirà una sorta di base minima per i contratti aziendali, anche se con il passare del tempo sono prevedibili differenze sostanziali che finiranno per renderne difficile la comparazione.
Una simile struttura di relazioni industriali è presente, pur se con molte differenze, in altri paesi europei. Presuppone l’esistenza di alcuni principi generali validi per tutti i lavoratori e poi la declinazione di contratti aziendali. Per evitare il rischio di eccessi di ribasso, può essere previsto un minimo salariale nazionale comune a tutte le imprese. Tale minimo potrebbe essere negoziato periodicamente o approvato per legge. Di conseguenza, è da prevedere che aumenterà la legislazione sul lavoro che sostituirà di fatto parti della contrattazione nazionale. La logica dei contratti aziendali risponde alla necessità di adattare le condizioni contrattuali alle vicende aziendali che sempre più sono diversificate anche all’interno dello stesso settore. Per questo sarà probabile un coinvolgimento dei lavoratori nei risultati dell’impresa e, quindi, anche nelle scelte di maggior rilievo, come avviene in taluni paesi e come recentemente auspicato da Walter Veltroni.UPDATE: sempre sulla Voce