Veltroni e i maoisti della Fiom

Diego Novelli su Nuova Società

Walter Veltroni, in compagnia di alcuni suoi compagni (ex Pci) dirigenti del nuovo Partito Democratico colpisce ancora. In una lunga lettera al direttore de La Stampa spiega «tre ragioni del SI a Marchionne» ed in polemica con la Fiom parte nientemeno che da Bruno Buozzi (1923) risalendo “per li rami” sino ai professori Berta ed Ichino, portando come pezza d’appoggio anche il programma elettorale del 2008 del suo partito, la dove si poneva la necessità di un nuovo modello del “patto sul lavoro”, del luglio del 1993, con un nuovo obiettivo: l’incremento della produttività, introducendo fortissime innovazioni nel nostro sistema economico aprendolo agli investimenti stranieri.

L’ultimatum ricatto dell’uomo che non usa mai la giacca come i comuni mortali altro non sarebbe che l’interpretazione, sia pure con una certa «durezza» delle idee del Pd, in materia di relazioni sindacali, per renderle capaci di regolare il rapporto e le prestazioni di lavoro nelle fasi di investimento, reclamate dalla competizione globale e dalla innovazione tecnologica.


Tutti quindi «devono cambiare qualche cosa», per ciò che riguarda i lavoratori rinunciare a certi diritti acquisiti in decine di anni di lotte, anche perché i padroni non hanno mai concesso niente “motu proprio”.
E tra i fondamentali c’è il diritto di sciopero, tra l’altro sancito dalla Costituzione.
Voglio ricordare a Veltroni un “esempio di scuola” in materia di diritto allo sciopero avvenuto nel 1969, proprio a Mirafiori, Officina 32.
Gli operai di questa officina, stufi di dover lavorare in un ambiente intossicato dai fumi delle saldatrici, rifiutarono la monetizzazione della loro salute (cento lire di aumento all’ora) rivendicando una modernizzazione degli impianti.

Autonomamente dichiararono una serie di scioperi. Questa decisione automaticamente bloccava tutta la produzione, lungo la linea di montaggio, a valle e a monte dell’Officina 32.
Si scatenò il putiferio: questi lavoratori furono oggetto di una violenta campagna mediatica ed indicati al pubblico ludibrio come estremisti, sabotatori della produzione.

Il direttore de La Stampa, Alberto Ronchey, dedicò loro un memorabile articolo di fondo, dal significativo titolo “I maoisti dell’Officina 32”.
Dopo due mesi di aspra lotta la direzione della Fiat era costretta ad installare alle cabine delle saldatrici degli aspiratori, che raccoglievano i malefico fumo che si spandeva in tutta l’officina, per convogliarlo in alcuni camini, collocati all’esterno.

Con il nuovo Vangelo di Marchionne i lavoratori di quell’officina sarebbero stati costretti ad intossicarsi quotidianamente, pena il licenziamento in caso di sciopero.
Nessuno mette in dubbio l’importanza di nuovi investimenti in Italia, ma giungere a sostenere, come fa Veltroni, che il principale fattore che tiene lontane le multinazionali dal realizzare questi investimenti sarebbero le cattive performance della giustizia civile in particolare, ci pare un po’ non solo grottesco, ma indice di un degrado politico-morale di certi innovatori che si collocano (si fa per dire) a sinistra.