E’ bello scoprire che qualcuno in giro la pensa come ci scrive su questo blog, via Luca Sofri
Quello che sta succedendo in giro con iPad sta – in forme diversissime – nella stessa raccolta di favole di quello che successe in Italia con due fenomeni diversissimi, Second Life e Facebook. Non è la cosa che volevo dire, in realtà, ma mi è venuta in mente strada facendo e quindi la premetto tipo “opening act” di questo post. Quello che ci vedo in comune è il successo – presso un pubblico non accortissimo sulle cose della rete e delle nuove tecnologie – di inattese e laterali scorciatoie d’accesso alla rete e alle nuove tecnologie. Second Life (lo straflop annunciato) era fatto così a forma della vita fuori dalla rete da riassumerlo nel suo stesso nome: era facile da capire per i profani, che ci saltarono sopra (usandolo o parlandone) sentendosi improvvisamente a loro agio e non estranei. Facebook (il successo planetario) ha portato in rete masse di nuovi utenti che ne erano rimaste escluse con sentimento di inadeguatezza offrendo loro tutto quello che era familiare nel loro mondo extra-internet: i vecchi compagni di scuola, le foto da mostrarsi, i luoghi del cucco, le conversazioni da caffè 24 ore su 24. iPad (il fenomeno malinteso) è stato acutamente presentato da Jobs come un giocattolone che serve prioritariamente a leggere i giornali e i libri (invece del versatile computer che è), attività e oggetti familiarissimi e riprodotti con pigra fedeltà agli originali.
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Esaurita questa riflessione, c’è da dire qualcosa sul peculiare caso iPad. A quanto pare, anche a causa del prezzo, si vende molto bene tra fasce di età piuttosto alte, con punte anche molto-alte che ormai avevano rinunciato a impratichirsi con i computer. Nuovi utenti si mettono in mano dei computer veri e propri, con funzionalità sterminate, per leggerci i giornali. Non sono tantissimi, ma piccoli numeri importanti: che a loro volta erano già parte dei piccoli numeri dei lettori di giornali. Nessuno di loro è un nuovo lettore conquistato dai giornali. I quali giornali si trovano oggi – parlo dei quotidiani maggiori – con qualche migliaio di abbonati che sperano si moltiplichino negli anni a venire, in nome di misteriose ragioni (crollo dei prezzi? nuovi lettori più giovani? mah). Gli altri giornali, poi, sono su numeri ancora più esigui ma stanno pagando decine e decine di migliaia di euro (ad accorti nuovi ricchi di una piccola new economy rimessa in moto) per applicazioni che sbandierano con orgoglio convinti di non poterne fare a meno come minimo. Ogni giorno i quotidiani di business e imprese segnalano di nuove iniziative editoriali su iPad baldanzosamente annunciate. Solo rarissimi illuminati si fermano a fare due conti e si chiedono “ma ha senso?”, e aspettano che idee più promettenti si affaccino all’orizzonte. Non sarà un semplice trasloco a salvare i giornali.