Via Macity
Con iAd Apple muove i primi passi nel mercato del mobile advertising, proponendo un servizio di mobile advertising specificatamente studiato per il software dei dispositivi multitouch della Mela.
Il concetto che sta alla base di iAd è strettamente legato alle applicazioni e al loro significato nell’utilizzo giornaliero di un utente. Secondo Steve Jobs, a differenze dall’esperienza desktop, l’attività ricerca è meno importante sui device mobili; la parte delle leone è fatta dalle applicazioni e dal tempo che l’utente trascorre in loro compagnia. Il ragionamento di Jobs è semplice: così come su desktop il centro nevralgico dell’attività web è rappresentata dal motore di ricerca, su cellulare invece tutto parte della applicazioni.
Da questo assunto (più o meno condivisibile) prende le mosse la filosofia di iAd: i messaggi promozionali sono integrati direttamente nelle applicazioni e tentano di offrire un servizio che dovrà coniugare l’impatto emozionale – tipico degli spot televisivi – con l’interattività del web. Come dimostrato nella presentazione, la pubblicità offerta da iAd assomiglia molto di più ad una mini-applicazione interna alle app stessa, capace di offrire giochi integrati o opzioni interattive.
Tutto ciò consentendo all’utente di non abbandonare l’applicazione, che continuerà ad essere attiva sullo sfondo ed accessibile una volta chiuso lo spot. Questa è forse la caratteristica peculiare di iAd: cliccando su un messaggio promozionale, l’utente non abbandona mai l’applicazione; la pubblicità è interna al software. Un conceto radicalmente differente da quello di altre proposte pubblicitarie. Se ad esempio osserviamo i messaggio promozionali tipici del network di AdMob, noteremo che solitamente il click costringe l’utente ad abbandonare l’applicazione in uso, per raggiungere ad esempio l’iTunes Store, l’App Store, le Mappe oppure una pagina del browser. Con iAd non sarà più così.
Non sono ancora chiari i dettagli sulla gestione del marketplace e su come verranno gestito il network pubblicitario; si sa solo che il modello applicato da Apple sarà un condivisione del ricavato: l 40% andrà alla Mela mentre il restante 60% dagli inserzionisti. Non è chiaro però se tale ricavato sarà calcolato sui click, oppure sulle vendite effettuate attraverso le pubblicità, oppure semplicemente ad impression.
A prescindere dai dettagli più specifici, iAd rappresenta muove in una direzione molto precisa: così come il sistema operativo cui fa capo, il network pubblicitario mobile della Mela evidenzia un’anima tendenzialmente chiusa e autoreferenziale, limitando le escursioni dell’utente all’interno delle app in uso, ed escludendo la possibilità di espandere l’esperienza promozionale verso lidi esterni concorrenziali, come ad esempio le pagine web o i contatti telefonici.
Al di là di quel che sarà e di come si configura questo sistema, quello che è certo è che Apple sta cambiando lo scenario del mondo delle app e degli sviluppatori che dipenderanno strettamente da Cupertino per una fetta che in alcuni potrebbe anche essere rilevante se non totale, del loro fatturato visto che il primo target sono coloro che creano programmi a costo zero o da 79 centesimi. Questa classe di programmatori potrebbe ad un certo punto trovare difficile se non impossibile lasciare App Store a meno di trovare altre piattaforme che offrano le stesse opportunità non tanto in termini di profitto (Google con Android, ammesso che vada in porto l’affare AdMob potrebbe creare un sistema similare), quando nel rapporto tra numero di applicazioni distribuite e numero di banner serviti. Apple al momento con i suoi 85 milioni di dispositivi venduti, le quasi 200mila applicazioni e i 4 miliardi di download è imbattibile.
iAd cambia anche il business di Apple o, meglio, continua a modificarlo sempre più in termini di un ecosistema che dalla semplice vendita di hardware e software, punta per il fatturato anche sui servizi. Nel caso di iAd siamo di fronte ad un modello che parte dalle percentuali sulla vendita di applicazioni (30% del costo) e sconfina su un profitto che deriva dalla concessione pubblicitaria con margini del tutto simili a quelle di un’agenzia. Ovviamente per Apple, come hanno fatto notare alcuni analisti, anche ammesso di fare il tutto esaurito con le inserzioni, si tratterebbe di “argent de poche”, ma qui il valore è nel concetto che sta alla base di questa svolta strategica.