Quando ero piccolo sentivo parlare da tutti dell’Olivetti ma ne capivo poco. Stavo crescendo in una landa dell’Italia, il Canavese, in cui il lavoro, l’etica, il pensiero, le colonie e le mense aziendali erano permeati di Olivetti e di macchine da scrivere.
Ero troppo piccolo per leggerlo, ma trovai nella biblioteca civica dell’amata Villareggia un tomone della Utet scritto da Bruno Caizzi e intitolato Camillo e Adriano Olivetti. Raccontava la storia di un padre e di un figlio, di un’azienda, di una terra, di un pensiero.
Oggi a 50 anni dalla morte di Adriano posso fare una confessione. Quel libro non è mai stato restituito al sistema bibliotecario Ivrea Canavese. E’ un pezzo di vita che mi accompagna.