Un tentativo equilibrato e prudente di commento da parte Carlo Felice Dalla Pasqua sulla sentenza odierna della Procura di Milano contro Google
Strano paese l’Italia, dove si dice che senza conoscere le motivazioni non si può commentare una sentenza e dove, poche ore dopo, proliferano già i commenti pro o contro (soprattutto contro) la sentenza con la quale sono stati condannati tre dirigenti di Google. Senza dare giudizi definitivi, partiamo dal presupposto che internet ha radicalmente cambiato i comportamenti e le abitudini sociali di molti (e quindi devono cambiare le leggi che regolano quei comportamenti), ma non può essere un luogo legibus solutus. Evitiamo quindi di gridare allo scandalo per partito preso.
Certo, se il giudice avesse stabilito che Google è responsabile semplicemente per aver messo a disposizione la piattaforma, ossia lo spazio, sul quale altri hanno commesso reati a sua insaputa, si tratterebbe di un esempio pericoloso. Sarebbe come dire che Trenitalia è responsabile se avviene un delitto su un vagone di un suo treno o che l’Anas deve essere condannata per un incidente avvenuto su un tratto di strada da lei gestito. O come se fosse colpa vostra se invitaste qualcuno a casa per un caffè e questa persona cominciasse a sfasciare quadri, mobili e soprammobili. Perché, mutate poche cose, quello è il ruolo di Google nel caso in questione. Certo, può essere accaduto che un giudice abbia clamorosamente sbagliato valutazione: è già accaduto, per esempio, che un giudice di Aosta abbia equiparato un blogger al direttore responsabile di un giornale, tanto per non uscire da internet.
Ma noi questo non lo sappiamo. E non sappiamo, per esempio, se Google ha rispettato tutte le regole (giuste o sbagliate, adeguate ai tempi o meno) che la legge italiana impone a chi fornisce un servizio. Non è una questione di leggi liberticide: rendere edotti gli utenti dei propri doveri è un obbligo in Italia come in molti altri stati liberi: se Google non lo ha fatto ha commesso un errore.
Così come non sappiamo se Google abbia rimosso il video appena saputo che era stato caricato sulla sua piattaforma. Se lo avesse lasciato consapevolmente per un tempo più o meno lungo, nonostante fosse stata avvisata, e lo avesse tolto soltanto quando il caso è esploso pubblicamente, sarebbe stato responsabile della sua pubblicazione per quel periodo (e quindi avrebbe violato la legge sulla privacy, in concorso con gli autori del video, rivelando dati personali e dati sensibili di chi era stato ripreso).
Anche per sapere questo bisognerà però attendere le motivazioni della sentenza. Le parole di questo giudice (che pure non sono definitive e saranno valutate in appello) potrebbero costituire una svolta per il futuro della rete in Italia e per la sua libertà, possiamo attendere qualche decina di giorni e poi parlare a ragion veduta?