«Esprimiamo la nostra più sentita solidarietà al nostro Presidente del Consiglio, l’on. Silvio Berlusconi, per la vile aggressione subita da parte di uno squilibrato e gli rivolgiamo calorosi auguri per una pronta guarigione. Sicuri di interpretare il desiderio di tutti gli italiani per bene, Le auguriamo inoltre Buone Feste!». Con questa descrizione il gruppo “solidarietà a Silvio Berlusconi” ha portato su Facebook la voce di maggior forza in sostegno del Premier dopo l’aggressione subita 24 ore or sono. Oltre 1.9 milioni di utenti risultano iscritti, per un gruppo comparso dal nulla. Ma il giallo è presto svelato.
Due gli amministratori segnalati: Leandra Rotolo e Marco Castaldi. Il gruppo, però, compare anche tra i risultati quando si cerca sul social network “facebook a pagamento”, uno degli incredibili mantra virali che hanno preso piede negli ultimi mesi raccogliendo milioni di adesioni dietro motivazioni del tutto fasulle e paradossali quali la creazione di una account VIP, la minaccia della chiusura di Facebook, la minaccia dell’introduzione di una login a pagamento sul sito, la promessa di velocizzare il caricamento delle pagine, eccetera. Una viralità fatta di click incauti, basati sulla credulità. Una credulità che, a stretto giro di posta, ha portato i propri effetti deleteri a chi ha ceduto al click.
Il gruppo, all’atto della creazione, si chiamava esplicitamente “No Facebook a pagamento”. Con lo stesso nome è ancora ad oggi riconosciuto dal social network, ma ora è in pubblica visione sotto il titolo “Solidarietà a Silvio Berlusconi” dopo che gli amministratori hanno effettuato il cambio nel titolo. Il gruppo ha dunque raccolto 2 milioni di italiani sotto una causa inesistente (su Webnews venne segnalato poche settimane or sono) e quindi ha visto cambiata la “destinazione d’uso”, portando così 2 milioni di utenti sotto il cappello di una causa del tutto differente.
Inutile sottolineare la sequela di insulti che il gruppo sta ospitando, una sommatoria tra le tensioni di queste ore e lo sconcerto di quanti si sono trovati in questa situazione contro la propria volontà. «Mi dissocio da questo gruppo. Ma come ho fatto a finirci dentro?» e ancora «preparate il libretto deli assegni perchè ho intenzione di querelare i creatori di questa pagina, ho intenzione di andare fino in fondo» e altro ancora».
È questo il riflusso più curioso nella caleidoscopica sequela di fatti e dichiarazioni che hanno seguito l’aggressione al Presidente del Consiglio da parte di Massimo Tartaglia. Il Ministro dell’Interno Roberto Maroni, sulla scia degli inviti provenienti da molti altri esponenti della Camera, sta portando avanti una tavola rotonda contro le “Brigate Facebook” volta a stringere i controlli sul Web e frenare i gruppi violenti. Trattasi di una mossa molto delicata, poiché occorre anzitutto definire le espressioni da stigmatizzare, la forma ed il tipo del vincolo da apporre. Sull’onda delle emozioni, infatti, si potrebbe giungere a provvedimenti incauti e limitativi della libertà di espressione. Il prossimo Consiglio dei Ministri potrebbe essere pertanto particolarmente importante.
Facebook in tutto ciò rimane al centro del dibattito, nella difficoltà di gestire una situazione in evoluzione e additata da quanti ritengono lo strumento una piazza troppo “calda” per poter essere regolamentata dalle leggi esistenti. Le conseguenze per il Web italiano potrebbero essere deleterie. E se si pensa che il gruppo di cui si discute in queste ore è nato come un “No Facebook a pagamento”, è chiara la natura paradossale di una situazione che sta diventando la più classica e pericolosa delle polveriere all’italiana.
sul tema: via Vittorio Zambardino
Il contatto su un social network “massivo” come Facebook non ha alcun significato pesante dal punto di vista umano e sociale. Essere “amici” non significa essere “la stessa cosa”. Credo che questo sia vero anche nei rapporti nella vita di ogni giorno, nel “mondo reale”: io non mi sognerei di associare uno dei miei amici a una mia dichiarazione politica che faccio. Parlo per me stesso. E invece qui succede. Credo che sia un fenomeno molto italiano. L’idea che Facebook serva solo come piattaforma politica, un’altra piazza dove urlare e lanciare sassi, un altro aspetto della torsione politicista che da noi viene imposta ad ogni fenomeno. E se volete, un’altra evidenza della totale distrazione nella nostra “cultura quotidiana” da ogni elemento di riguardo per l’altro e per i suoi pensieri e sentimenti – si può dire, in una sola parola: “maleducazione”?
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