Open Street Map, una fondazione no profit britannica con oltre 200 mila associati in tutto il mondo, si propone esattamente questo obiettivo: rendere anche le mappe un bene collettivo, frutto della collaborazione dal basso. “Che le carte fossero un fondamentale strumento di potere lo sapevano anche gli antichi romani, che disegnavano le proporzioni del Globo in base alle loro esigenze strategiche”, spiega Simone Cortesi, membro del consiglio di amministrazione dell’associazione in rappresentanza dei circa 2000 volontari italiani. “Ci sono zone del mondo che non sono disponibili sui navigatori satellitari perché manca un tornaconto economico a realizzare i programmi”, precisa. Uno dei casi più emblematici, e fiore all’occhiello di Open Street Map, è il lavoro svolto a Gaza, dove finalmente le ambulanze possono correre in soccorso dei malati seguendo le istruzioni di un navigatore. “I colossi come Teleatlas o Navteq naturalmente non avevano nessun interesse commerciale a produrlo”.
Per rendere possibile questo servizio (stessa cosa è stata fatta con Bagdad) gli associati della fondazione hanno acquistato delle generiche immagini satellitari, elaborandole sia dal punto di vista informatico che “geografico” con le indicazioni dei nomi delle vie e dei sensi di circolazione raccolte sul posto. Un lavoro che viene svolto dai volontari per molti progetti simili, ma non necessariamente così “estremi”. “Le mappe tradizionali – sottolinea Cortesi – omettono spesso informazioni su modi di viaggiare considerati di nicchia come le piste ciclabili o gli itinerari pedonali”. Tra i contributi di Osm alla cartografia italiana ci sono quindi i sentieri alpini del Cai, il posizionamento delle fontanelle nei centri storici delle città o la dislocazione delle campane per la raccolta differenziata, mentre è ancora in corso di perfezionamento il dettaglio dei servizi e delle insidie per i disabili.