Gli emissari della facoltà di Lettere da qualche settimana si sono messi alle loro calcagna. Li cercano, li chiamano: «Lei è iscritto all’Università da oltre un decennio e non si è ancora laureato. Da anni non sostiene un esame. Che cosa intende fare?». L’obiettivo non dichiarato è accompagnarli gentilmente verso l’uscita, il più presto possibile.
A Lettere gli universitari di lungo corso sono circa trecento, iscritti alla laurea a ciclo unico, prima ancora della riforma del «3+2» del 1999. Di quasi tutti, l’Università ha perso le tracce da tempo. Fino a poco fa nessuno se ne curava: pagavano le tasse e non si facevano mai vedere, l’ateneo incassava senza dover offrire loro alcun servizio. Adesso, però, quei trecento – e quelli delle altre facoltà di Università e Politecnico – rischiano di trasformarsi in una zavorra. La riforma voluta dal ministro Gelmini parla chiaro: gli atenei saranno premiati anche in base alla «produttività», cioè la percentuale di iscritti che poi si laureano, e lo fanno senza essere fuori corso.
Il guaio è che i fuori-corso di lungo periodo sono solo la punta dell’iceberg. Sotto c’è una massa di universitari che risulta iscritta ma di fatto non esiste: non va a lezione, non dà esami, e se li dà non li supera. Il dato – elaborato dal Comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario – è desolante: nel 2008 quasi uno su cinque, a Torino, non ha ottenuto nemmeno un credito formativo. Significa che non ha superato esami né laboratori.
Università o Politecnico fa poca differenza: 17,2 per cento contro 16 per cento, dati leggermente sotto la media nazionale e lontani da certi eccessi (La Sapienza 34 per cento, Bari 32, Messina 30) ma che fanno pur sempre riflettere. «Nella maggioranza dei casi si tratta di studenti al primo o secondo anno che si accorgono di aver sbagliato facoltà», spiega il preside della facoltà di Lingue Paolo Bertinetti. Vero, entrambi gli atenei torinesi perdono circa il venti per cento delle loro matricole: 2550 in via Po e un migliaio in corso Duca degli Abruzzi. «Tentano un paio d’esami, non li passano e si arrendono», dice Bertinetti. «Con la crisi sono aumentati – aggiunge il preside di Ingegneria I Donato Firrao -. Ci provano, magari prendono anche la borsa di studio e se non va si ritirano».
2 commenti su “L’Università dei fantasmi”
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Desolante mancanza di competitività.
Qui a Londra dove sto io c'è una competitività estrema – chi arriva qui è disposto a tutto pur di farcela. E non ci sono vie d'uscita.
Qui o si passa o non si passa.
O tutto o niente.
(Gli studenti si stanno però mobilitando per avere almeno la possibilità di ripetere l'anno: http://www.facebook.com/group.php?gid=17651229933… )
Altro che studenti fantasma…!
I fantasmi sono quelli di chi davvero fantasma lo è diventato (purtroppo ci sono…)