Il Governo Cinese ha deciso di non mettere in atto il filtro per bloccare siti non graditi (Via Federico Rampini)
Alla fine la scadenza ultimativa di questo primo luglio è stata cancellata: i produttori mondiali di computer non sono più obbligati a vendere entro oggi solo dei pc dotati del software Diga Verde, cioè il filtro censorio elaborato da una società cinese legata alle forze armate. Quel filtro, ufficialmente progettato per impedire l’accesso a siti pornografici, in realtà blocca anche la navigazione su siti sgraditi al regime per ragioni politiche.
Che cos’ha pesato di più sul governo di Pechino per indurlo a questo ripensamento?
Le proteste ufficiali dell’Amministrazione Obama contro una misura palesemente protezionista? L’appello congiunto di tutti i big dell’informatica mondiale, anch’essi convinti che la legge li avrebbe messi in svantaggio verso la concorrenza cinese (i produttori locali hanno avuto più tempo per studiare e integrare il software Diga Verde)? Le proteste diffuse all’interno della stessa Cina, nel popolo dei blogger e con la clamorosa iniziativa di un gruppo di avvocati?
E’ difficile rispondere. Di certo il dietrofront sembra rivelare che all’interno della leadership cinese non c’era una compattezza totale su quel progetto.
Questo è un caso classico in cui vengono in contraddizione le due anime della Cina attuale: da una parte l’autoritarismo politico, d’altra parte l’indubbia volontà di questa classe dirigente tecnocratica di favorire la modernizzazione (è la ragione per cui la diffusione di Internet è sempre stata voluta e incoraggiata come uno strumento tecnologico al servizio della competitività globale).
Ma attenzione, l’ala dura può sempre tornare alla riscossa. Questo è un anno in cui la nomenklatura è nervosa, per l’accavallarsi di pericoli e date cruciali.