Ho partecipato a uno degli ultimi eventi degli Stati Generali dell’Editoria: è stata un’esperienza utile.
L’evento successivo era dedicato a: “le proposte dei giornalisti per cambiare passo ” e gli enti istituzonali del settore hanno ben pensato di non presentarsi motivando l’assenza : “Non potevamo partecipare perché non volevamo legittimare con la nostra presenza un’impostazione che non condividiamo” condendo di altre curiose concettualizzazioni la loro non presenza tipo: “non possiamo avere partita vinta a tavolino, per cui non giochiamo e cerchiamo pure di portare via il pallone”.
In effetti qualcuno c’era e ha analizzato l’accadimento
Stefano Tesi
Non ho particolari motivi di simpatia nè di affinità, politica o d’altro, col sottosegretario con delega all’informazione Vito Crimi. Ma ieri mattina, quando alle 10 precise mi sono presentato nella nuova, vasta e ariosa aula dei gruppi parlamentari a Montecitorio per la sessione finale, la quinta, degli Stati Generali dell’Editoria, ho condiviso con lui un primo sentimento di delusione: anch’io mi aspettavo una fitta rappresentanza di giornalisti, con code e forse gomitate per entrare, mentre invece eravamo a malapena una trentina di gatti dispersi in un emiciclo da cento, squallidamente semivuoto.
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Poi la parola è passata agli oltre venti colleghi che avevano chiesto di intervenire (visto il numero, ho ritenuto saggio astenermi) e qui è venuta la parte peggiore perchè, come acutamente ha riferito nel suo resoconto anche Nadja Bartolucci su Primaonline (qui), è sembrato più che altro un” raduno delle opposizioni interne dell’Fnsi”, o una sorta di resa dei conti tra avversari di corrente, che un dibattito o un’esposizione di argomenti.
Ho così avuto la sorprendente conferma che erano assenti (per una scelta polemico-politica secondo me assai discutibile, visto l’evento e i temi sul tappeto: per comprendere la surrealtà della vicenda, leggere quile motivazioni espresse dal segretario del sindacato, Raffaele Lorusso) i vertici sia dell’Odg che dell’Fnsi.
Possibile? Sì, possibile.
A dimostrazione di quanto la categoria, da un lato talmente assorta nella propria, inconsapevole ma pertinace, cupio dissolvi, e dall’altro così ciecamente certa di una sua capacità di sopravvivenza garantita da decenni di impunito immobilismo, pensi di potersi permettere di snobbare un appuntamento che, anche a prescindere dall’eventuale strumentalità da parte di chi l’ha fissato – il quale è sempre e comunque un sottosegretario con delega all’informazione, quindi in sostanza il Governo, ovvero uninterlocutore naturale – non poteva nè doveva essere disertato. E che anzi avrebbe dovuto fungere da grancassa di rivendicazioni e di atti difensivi contro gli attacchi veri o presunti provenienti da qualsiasi parte, a cominciare dalla politica.
Invece, nisba: ad esclusione di alcuni interventi di indubbio spessore per capacità penetrativa, ampiezza di prospettiva e coraggio di andare fuori dal coro (cito tra tutti quelli di Pierangelo Maurizio e Massimo Alberizzi), si sono ascoltate per la maggior parte geremiadi, accuse incrociate, rivendicazioni fuori dal tempo, difese corporative.
Il dubbio amletico di Nanni Moretti, il quale si lambiccava il cervello se lo si notava di più se andava oppure se non andava, è stato sciolto dai vertici dell’Ordine e della Federazione Nazionale della Stampa in senso negativo. Di qui la ferrea decisione di non partecipare agli Stati Generali dell’editoria promossi dal sottosegretario Vito Crimi.
Non c’è che dire, a notare l’hanno notato tutti, a capire non ha capito quasi nessuno. Si parla di un fenomeno, l’editoria, che boccheggia e che ha disperato bisogno di ossigeno senza sapere da dove può arrivare, e si sceglie di disertare il campo di confronto. Non capisco ma mi adeguo, diceva un personaggio arboriano di “Quelli della notte”.
Ma prima che faccia buio su un settore in declino, in cui i giornali sono sgretolati dall’erosione dei lettori e del mercato pubblicitario e in cui il web è cliccato ma non riesce ad agganciare risorse dignitose, forse sarebbe stato opportuno abdicare al beau geste e sposare la concretezza.
Sembrerebbe infatti che poiché gli Stati Generali erano aperti a tutti, non sono stati fatti inviti specifici e questo sarebbe bastato a Ordine e Fnsi per far finta di niente: non sia mai detto che chi ha faticosamente raggiunto una carica importante della categoria possa essere trattato come uno qualsiasi della categoria. Noblesse oblige.
Secondo un’altra corrente di pensiero il criterio di scelta sarebbe non di dignità o di rango, bensì meramente politica, e non è ben chiaro ai giornalisti stessi se si tratti di scriminante o di aggravante. Qualche differenziazione, però, va fatta. In primo luogo occorre soffermarsi sulla diversa rappresentatività dell’Ordine e della Fnsi: il primo, come è ovvio, è espressione della totalità dei giornalisti, poiché l’appartenenza è un obbligo di legge; la seconda di una sua parte, perché su base volontaria (e purtroppo sempre meno consistente).
Il segretario della Federazione, Raffaele Lorusso, si è prodotto in una lunga e articolata arringa-requisitoria per spiegare le ragioni del no, in un ricercato sindacalese che spiega assai poco. Le ragioni si illustrano e si difendono nelle sedi opportune, come potevano essere gli Stati Generali dell’editoria, anche a muso duro, anche passando all’attacco: è un segno di vitalità e di idee forti. Invece, mentre Costantinopoli è sotto assedio, si discute del sesso degli angeli, dei massimi sistemi, dei principi disancorati dalla realtà, di filosofia.
La Storia, questa sconosciuta, non è purtroppo quella magistra vitae auspicata da Cicerone. L’esperienza parlamentare dell’Aventino, con la schizzinosità di non volersi sporcare le mani per sviscerare i problemi che si aggravano, non ha insegnato nulla e sappiamo come è andata a finire. Dietro a formalità burocratiche, a distinguo, al ditino alzato per dire questo sì questo no, quello sì quello no, al senso di offesa per l’invito non personalizzato, al cipiglio per il microfono a disposizione di chiunque abbia qualcosa da dire o voglia dire qualcosa, si staglia una situazione drammatica per la categoria: perdita di prestigio, perdita di autorevolezza, perdita di ruolo, perdita di libertà, perdita di dignità, perdita emorragica di posti di lavoro, e non necessariamente in quest’ordine.
Una categoria che si è scelta i suoi rappresentanti eleggendoli liberamente e democraticamente e che quindi viene investita anche dal punto di vista morale della responsabilità nelle scelte della classe dirigente. È la stampa, bellezza.