La rivista Europae spiega in sintesi la direttiva europea sul copyright
Cosa prevede la Direttiva
In estrema sintesi, il testo pone maggiori responsabilità su siti come YouTube o i social network al momento della diffusione di materiali protetti da diritto d’autore: i provider potrebbero rimuovere video girati da chi non ne detiene i diritti, oppure stralci di materiali editoriali utilizzati con scopo di lucro. Nel mirino finiscono anche i servizi come Google News, che aggregano le notizie e ne forniscono un’anteprima (in gergo, “snippets”): se non dovessero corrispondere adeguati compensi agli editori, sarebbero perseguibili per violazione del copyright. Viene inoltre richiesta l’adozione di strumenti e tecnologie volte a prevenire la diffusione sui siti di materiale protetto.
Sono invece esclusi in maniera esplicita i materiali degli enti culturali e scientifici o dei siti per la diffusione senza scopo di lucro della conoscenza o di software open source, come Wikipedia o GitHub. I nuovi emendamenti metterebbero al sicuro anche i link condivisi sui social dagli utenti e la rielaborazione di singole immagini come parodia – i cosiddetti meme; parrebbe quindi ingiustificato, almeno a livello formale, il timore della “link tax” paventata dai più scettici.
Ragioni commerciali, ragioni politiche
La direttiva rappresenta innanzitutto un tentativo di salvaguardare con mezzi “tradizionali” (una maggior protezione del diritto d’autore, appunto) l’industria della creazione di contenuti e materiale intellettuale: editori in primis, ma anche etichette discografiche e artisti, che nei mesi scorsi hanno promosso diverse campagne di sensibilizzazione. In secondo luogo, il testo propone una limitazione forte a un’altra lobby, quella dei giganti della Silicon Valley: in un contesto di globalizzazione e di liberalismo totale dell’industria digitale, un ente territoriale – l’Unione Europea – promuove una misura legislativa per cercare di regolamentarne il mercato tramite strumenti tipici della tradizione economica continentale. Secondo le parole del presidente dell’europarlamento Tajani, “Il Parlamento europeo ha scelto di difendere la cultura e la creatività europea e italiana, mettendo fine al far-west digitale”.
Debolezze tecniche
Se, su carta, gli intenti dei parlamentari sono coerenti con la volontà di proteggere la proprietà intellettuale e di ordinare il mercato digitale, la più grande difficoltà insita nel testo è come implementarlo. Il web si sviluppa con regole differenti dai mercati tradizionali e non è chiaro come una direttiva di stampo “tradizionale” possa inserirvici. Un esempio su tutti è la gestione e il controllo dei dati stessi: un eventuale ente regolatore non potrebbe che basarsi su algoritmi automatici per il riconoscimento di materiali protetti, ma le difficoltà tecniche per realizzarne di adeguati sono tali da paventare il rischio di censura preventiva o l’eliminazione di contenuti ambigui come, ad esempio, i meme.
Alternativamente, i provider di servizi dovrebbero dotarsi di filtri adeguati, con investimenti e ostacoli informatici tali da scoraggiare gli investitori più piccoli o far chiudere alcuni servizi (è già accaduto in Germania, dove una legge sul copyright già esisteva da qualche anno e dove Google ha chiuso il servizio News). Ma la più grande debolezza è di natura comunicativa: se la direttiva non verrà presentata adeguatamente, rischia di essere percepita come un attentato alla libertà del web e alla volontà degli utenti di usufruire di contenuti gratuiti, di cui Google e affini si sono sempre presentati come “paladini”.