Il peccato orginale della storia dell’informatica italiana si chiama politica e finanza

Via Agenda Digitale

Si mormora che nel corso della preparazione dell’imminente viaggio del Presidente del Consiglio in Silicon Valley qualcuno abbia suggerito di impostare lo speech presidenziale partendo dalla “italianità” del Personal Computer e da un non meglio dettagliato auspicio di ritorno ai tempi olivettiani. Bene, benissimo. Innanzitutto, è vero: il PC è stato inventato in Italia, a Ivrea. Pier Giorgio Perotto, ingegnere Olivetti, lo progetta più o meno esattamente 50 anni fa e lo presenta, nel 1965, alla Fiera di New York.

E fu anche un discreto successo commerciale: la “Perottina” (così veniva confidenzialmente chiamato il P101 Olivetti, in omaggio al suo progettista) fu venduta in poco meno di 50.000 esemplari. E fu anche “scopiazzata” dalla Hewlett Packard (HP 9100A), tanto che in seguito a un contenzioso per violazione di brevetto HP dovette riconoscere a Olivetti ben 900.000 dollari di allora a titolo di royalty.

[ad#Adsense-box-300×250]

Ok. Il PC lo abbiamo inventato noi. E se è per questo, abbiamo inventato anche il microprocessore (Federico Faggin) e l’accelerometro (Bruno Murari). Tornando ancora più indietro, abbiamo anche inventato il telefono (Meucci) e il telegrafo senza fili (Marconi). Qualche eporediese (abitante di Ivrea) è anche in grado di ricordare che persino Ethernet vanta tra i suoi molti padri anche un paio di olivettiani.  Così, all’ingrosso, abbiamo inventato in Italia almeno il 75% dei mattoncini coi quali è costruito l’intero universo dell’ICT così come lo conosciamo adesso.

Non è che ci sia andata benissimo, però. C’è un peccato orginale, nella storia dell’informatica italiana. E si chiama “politica”. Con abbondante contorno di “finanza”. Marconi finì per realizzare compiutamente il suo sogno andando in Gran Bretagna e fondando lì la sua omonima azienda; Faggin e Murari sono considerati dei veri e propri miti dall’altra parte dell’Oceano, ma qui in patria non se li ricorda (il verbo più adeguato sarebbe un altro) nessuno. Olivetti ha fatto la fine che ha fatto, e in tanti ci ricordiamo di un tal Ugo La Malfa che disse “no grazie, al governo italiano queste diavolerie elettroniche non servono, e comunque vuoi che i giapponesi non siano più bravi di noi?”. Fiat e General Electric possedettero la Olivetti per un abbastanza lungo periodo, ma si guardarono bene dall’aiutarla ad affermarsi.