“Ci siamo abituati alla sofferenza dell’altro, non ci riguarda, non ci interessa, non è affare nostro”. Papa Francesco va a Lampedusa per un viaggio lampo che dura solo poche ore, ma che va al cuore di una delle tragedie più grandi del nostro tempo, una “spina nel cuore”, la definisce spiegando i motivi che lo hanno spinto fin quaggiù, nell’estremo lembo meridionale d’Europa. Porta la sua preghiera per i morti, gente che cercava una “via di speranza” cercando di raggiungere l’Europa e ha trovato invece solamente la morte nel mezzo del Mediterraneo. Getta in mare una corona di fiori in loro memoria, mentre i pescatori di Lampedusa (gli stessi che talvolta hanno tratto in salvo i migranti) lo accompagnano in mare con le loro imbarcazioni. Incontra alcuni migranti, saluta la comunità di Lampedusa e Linosa e con oltre 10 mila fedeli presenti celebra una messa nel campo sportivo: un rito con una chiara impronta penitenziale, cui il pontefice aggiunge parole di forte impatto parlando di “globalizzazione dell’indifferenza” e riflettendo su quella “cultura del benessere che “ci porta a pensare a noi stessi, ci rende insensibili alle grida degli altri, ci fa vivere in bolle di sapone”. E con l’invocazione a Dio perché conceda “la grazia di piangere sulla nostra indifferenza” c’è anche l’accenno alla “crudeltà che c’è nel mondo, in noi e anche in coloro che nell’anonimato prendono decisioni socio-economiche che aprono la strada a drammi come questo”.