ntendiamoci, non sono nato ieri e so perfettamente che la tenzone elettorale implica il ricorso, seppure sgradevole, ad argomenti borderline e ad espressioni pesanti.
Ma se è vero quanto mi riferiscono, cioè di insulti gratuiti e pubblici rivolti non in comizio, ma al seggio, per una questione di “santini” piazzati sottobanco, a me e ai miei colleghi, da parte di persone che conosco da anni e con cui, aldilà delle posizioni “politiche”, ho sempre avuto rapporti buoni se non ottimi, allora non ci sto più.
E mi dico senza mezzi termini che questo sistema partitico, quest’escrescenza ideologica a cui è costretto ad obbedire – per il perpetuarsi delle parrocchie e degli interessi – l’organo di autogoverno dei giornalisti, va abbattuto. Oppure abbandonato. E che per raggiungere questo, che è l’unico risultato legittimamente perseguibile, ogni mezzo è buono.
Detesto le marce, le fiaccolate e i cortei. Mi posso vantare di non aver mai partecipato in vita mia a una sola di queste pietose manifestazioni di ipocrisia collettiva e di paraocchismo applicato. Ma potrei tornare sui miei passi se ciò servisse a scuotere le coscienze di una categoria la cui ragione che genera mostri non in quanto dormiente, ma in quanto comatosa.
Non appartengo, per natura, alla categoria di quelli che odiano l’avversario politico solo per il fatto che è avversario. Io odio qualcuno se ho un motivo serio e la vita ne offre di serissimi (infatti odio parecchia gente). Dunque non tollero che chi mi conosce, mi frequenta o ha fatto perfino un pezzo di strada professionale assieme a me, pensi di potermi infangare solo perchè non la penso come lui o non appartengo alla sua congrega.
Eppure è quello che sta accadendo.
La consultazione elettorale mi mette in concorrenza con persone (e non certo con liste) che stimo? Non per questo smetterò di stimarle. Sarò perfino contento se verranno elette. Ma che nessuno si azzardi a uscire dal seminato delle istituzioni e a scendere su quello personale, perchè lo sbrano. Chiunque egli sia. Qualunque sia il potere che detiene o di cui, più probabilmente, è servo (sciocco). O perfino ostaggio. Oppure tutte e due le cose, come certi piazzisti di caldarroste giornalistiche.