La parola la prende Ciro Pellegrino, del Coord. Campano, che parte con una vibrata denuncia del “sistema”. Si scaglia contro i miseri compensi ad articolo, che quando ci sono stanno sui 3-5 euro a pezzo, contro i pensionati che tolgono spazio ai giovani, contro i giornalisti garantiti che non capiscono il senso della battaglia dei precari, contro la Regione Campania e i gruppi politici regionali, che hanno 26000€ l’anno per la comunicazione politica ma neanche un giornalista assunto. Gli applausi si moltiplicano, Lucarelli è attentissimo e prende appunti, Iacopino in platea annuisce.
L’intervento di Pellegrino termina con una sferzata alle istituzioni del giornalismo italiano, OdG in primis: «A che serve iscriversi all’Ordine se poi il tesserino non serve a lavorare e a crescere? A che serve se non ti fa lavorare o imparare il lavoro? Molto meglio imparare bene l’inglese e mettersi a studiare online i corsi delle università americane, nella speranza di essere assunti all’estero. Non credete più ai vecchi giornalisti, ci hanno preso per i fondelli, ci hanno detto che “fare il giornalista è sempre meglio che andare a lavorare”, ci hanno detto che questa è la generazione perduta – ma quale perduta!!! – siamo tutti qui, carne viva!! Non facciamoci togliere la dignità per tre euro.»
La parola passa a Valeria Calicchio di Errori di Stampa, che riunisce i giornalisti precari romani, la sua è un’arringa per la rivoluzione: «A Roma tutti i precari che grativano intorno a EdS non riescono a mettere insieme 1000€ neanche in un mese, ci vogliono 43 giorni lavorando anche i fine settimana … e siamo tanti!!! Questo è vero caporalato, sfruttamento! Ci sono gli estremi per denunciare, in Lazio c’è persino una legge contro il precariato giornalistico, ma è lettera morta come quella sull’equo compenso e la Carta di Firenze che condanna il precariato!! Chi la conosce in sala?» Su quasi 200 presenti neanche 20 alzano la mano. Interviene Ciro Pellegrino: «Come fanno a conoscerla? Persino sui manuali delle scuole di giornalismo, che citano tutte le carte deontologiche, della Carta di Firenze non si parla; ho denunciato questo fatto ma, finora, senza esito.»
La Calicchia riprende la parola e va giù dura, contro uno dei guru del progressismo italiano, l’ing. De Benedetti: «durante un convegno ha detto che “i giornalisti lo dovrebbero ringraziare perché lui gli da visibilità”, si dovrebbe vergognare perché un giornalista professionista non vuole visibilità per se stesso ma lavora per fare informazione, dare notizie, e per questo lavoro deve essere adeguatamente ripagato e tutelato! Io penso a Giovanni Tizian di Modena, che per aver scritto di ‘ndrangheta a 3€ al pezzo ora è costretto a girare con la scorta! Perciò respingete queste prese in giro, agitatevi e studiate e non fatevi prendere per i fondelli … e se non vi pagano allora abbiate il coraggio di non scrivere più!!!»
All’interno del dibattito si affacciano anche Valerio Ceva Grimaldi, vicedirettore di Terra, ed Amalia De Simone ex-cronista de Il Mattino. Raccontano i loro casi, vere e proprie testimonianze di un panorama malato e cartina di tornasole di una situazione purtroppo strutturale dell’informazione italiana. Quello di Ceva potrebbe essere portato come caso di scuola durante una lezione sul finanziamento pubblico dell’editoria: “Di Terra, nonostante gli stipendi arretrati e i due mesi di sciopero, non ne ha parlato nessuno. All’editore, dopo aver incamerato i finanziamenti, non interessava neanche la tiratura, dopo tre mesi mi ha chiamato e mi ha detto che le cose andavano male… Pensate che ero a pagare la bolletta del telefono, agli editori non interessava affatto della redazione e dei professionisti che ci lavoravano, hanno sfruttato 20 persone e distrutto un sogno come quello di Terra».
Il caso di Amalia De Simone potrebbe essere citato in occasione di un dibattito sulla rettifica e registriamo con piacere la sua testimonianza: «Nessuna intimidazione mi ha toccato quanto quella che mi sta facendo Il Mattino”. La cronista si riferisce alla querela che il quotidiano ricevette per un articolo sui beni confiscati nell’area vesuviana. La testata, infatti, pretende che sia la giornalista a pagare la somma quasi per intero: il 70 percento del totale, che ammonta a 52mila euro. “Ho sempre fatto onestamente il mio lavoro». La conclusione è amara: «Il Mattino, evidentemente, non ha imparato molto dall’esperienza di Giancarlo Siani». De Simone attacca ancora Il Mattino: «Ho sempre creduto fino alla fine alla promessa di assunzione. Ho fatto causa al giornale per me stessa, per la mia dignità. Il Premio Siani verrà consegnato nella sede del Mattino? Quanta ipocrisia!».