Qualche mese fa, in seguito alla segnalazione di un giornalista freelance non pagato, Arianna Ciccone aveva provato a ricostruire i passaggi di proprietà della rivista Maxim, per capire su chi ricadesse la responsabilità dei debiti contratti durante la vecchia gestione. Anche il blog L’isola dei cassintegrati ha seguito il caso (1, 2, 3) e da allora non abbiamo smesso di ricevere segnalazioni. Truffa sistematica o delinquenza occasionale?
Sfogliando le tante pagine di dichiarazioni e informazioni raccolte in questi mesi sul «caso Maxim» ho l’impressione di avere tra le mani un puzzle quasi completo che lascia poco spazio alla fantasia: il classico paesaggio ricostruito nei particolari a cui mancano solamente un centinaio di tasselli azzurro cielo. Sebbene questa storia presenti ancora molti vuoti (che speriamo possano essere chiariti grazie all’aiuto della Fnsi), i pezzi di cui siamo in possesso parlano da soli: collaboratori non pagati, redattori in attesa di stipendio da mesi, contratti farocchi, fallimenti fantasma, passaggi di proprietà fittizi e un direttore riluttante a dare risposte (ma felice di far parte della giuria di Veline).
I collaboratori non pagati sono il tassello più importante del puzzle. La sistematicità con cui «il lavoro dei giornalisti viene rubato» (concetto emerso più volte nelle testimonianze) è allarmante. Ogni passaggio di mano, dai presunti fallimenti ai cambi di gestione, ha rappresentato un’ottima scusa per annullare i debiti e rimbalzare tutti coloro che dovevano essere pagati. Alcuni freelance sono riusciti a recuperare le somme di cui erano creditori dietro minaccia dei loro avvocati; altri sono stati ammansiti con una parte del denaro di cui erano creditori; altri ancora (è il caso di Anna) sono stati scaricati dalla rivista da un giorno all’altro, con decine di articoli non pagati alle spalle.