La presentazione del nuovo organigramma digitale della Stampa con slang made in Usa, che ratifica un de facto da anni, sta creando commenti curiosi … Nel frattempo si attende il bilancio aziendale 2011 e di capire se qualcuno ha pensato a due parametri: la qualità e l’imparzialità dell’informazione.
Sarà tutta “amerikana” – con scenografie da sfondo televisivo e open space totale – la versione Elkann-Chrysler di via Lugaro della Stampa, figlia forse un po’ scapestrata dell’edizione Fiat-Agnelli del glorioso quotidiano di famiglia, sopravvissuto per oltre 40 anni in riva al Po, ma più che dimezzato nelle copie. Lo hanno inteso domenica scorsa redattori e Cdr convocati in un salone del Bit, in corso Unità d’Italia, dai vertici del giornale. Scopo del mega raduno illustrare i piani di direzione ed editore alla vigilia del trasferimento, previsto per fine giugno, da via Marenco al palazzo ex Sanpaolo oggi di proprietà di Beni Stabili (il cui azionista di riferimento è la francese Foncière des Régions)
Mario Calabresi, ormai più noto come Mariopio l’Amerikano come l’ha ribattezzato Dagospia, diventato “tuttotivù” dopo i clamorosi flop di “Hotel Patria” su Rai3 (un misero 5-6 per cento di share, ancor meno di Lerner) ha illustrato alcune delle novità in arrivo. Ma non è bastato neppure il buffet successivo a tranquillizzare quella parte di giornalisti – e non sono pochi – che non si considera solo un terminale di internet o una sigla per i network. E che vede un futuro professionalmente disastroso.
Così non ha entusiasmato per nulla sapere che si spenderà un milione di euro (pare 800 mila con lo sconto) per avere due “vidiwall” con tutti gli schermi televisivi che seguono le fasi di lavorazione del giornale e delle notizie: Mariopio l’Amerikano ne ha parlato con l’eccitazione del bambino che ha trovato finalmente il giocattolo che tanto desiderava. Meraviglia che ci invidieranno, ha detto, colossi come il Guardian o il Wall Street Journal. Nei collegamenti, ormai frequenti, con le reti televisive nazionali, parlare con lo sfondo del “vidiwall” sarà tutta un’altra cosa: i libri che compaiono dietro i vari De Bortoli, Feltri, Sechi, sono ormai anticaglia. E’ come passare da giacca e cravatta alla felpa marchionnnesca. Volete mettere pontificare col vidiwall alle spalle?
Scopro però che avete la soluzione in casa e non ve ne siete accorti: il suggerimento perfetto l’ho trovato sulla Stampa (l’unico quotidiano italiano con il sito internet più pesante di un film di Bertolucci e più brutto di Tg Com), che ieri ha introdotto in redazione il “Digital Editor”, il “Web Editor” e il “Social Media Editor”. Wow. Il segreto di questa operazione è chiaro: fare le stesse identiche cose ma chiamandole con un nome inglese per estrarle dal loro provincialismo intrinseco. Un po’ come quando negli anni Ottanta, da voi in Italia, si chiamava “coffee” il caffè, che sempre caffè rimaneva. E’ un metodo infallibile, funziona nella finanza e nella moda, perché non nel calcio? Provate a chiamare “manager” gli allenatori, “midfielder” i centrocampisti, “president” i presidenti e – vale per Rai Sport – “cross” i traversoni. Ibrahimovic, ad esempio, ha dato uno slap in the face ad Aronica.