Un post sullo sciopero degli edicolanti dopo Natale ha aperto un interessante dibattito sul blog. Ora arriva anche l’intervento del guru di settore: Il Giornalaio.
E’ difficile stabilire cosa effettivamente accadrà ma ho deciso di parlarne comunque, sia per rendere giustizia al nome di cui si fregia questo spazio che per fare chiarezza su un tema che gli organi di informazione stanno trattando in maniera, a dir poco, approssimativa e superficiale, limitandosi a pubblicare una sintesi del precitato comunicato sindacale.
Se dal primo gennaio 2012 alcuni giornali potrebbero chiudere, la situazione delle edicole è di gran lunga peggiore già da tempo. Negli ultimi anni hanno chiuso circa 8mila punti vendita passando da 38mila a 30mila, riducendosi per oltre un quinto.
Iniziamo subito col dire che questo sciopero, se si farà, è tanto tardivo quanto inutile. A prescindere dalla minaccia di liberizzazione delle licenze almeno 10mila giornalai, quelli esclusivi, quelli cioè che non trattano altre categorie merceologiche [tabacchi, giochi ed altro], hanno ormai il destino segnato, stritolati finanziariamente dai distributori locali che riversano su di loro la necessità di fare cassa inondandoli di pseudo pubblicazioni editoriali in virtù della vetusta ed anacronistica idea che si ha della parità di trattamento.
La convocazione di uno sciopero in questo contesto rischia di essere più strumento di contrattazione nelle mani della FIEG, che forse non a caso in questa circostanza non si è espressa sulla protesta come era avvenuto nelle rarissime occasioni precedenti, per salvare i finanziamenti milionari che lo stato gli elargisce, che non elemento efficace di rivendicazione dei diritti dei peones dell’editoria nostrana.
Il terreno su cui le relazioni di potere operano è principalmente costruito attorno a globale e locale ed è organizzato attorno a reti, non a singole unità. Le reti sono molteplici e le relazioni di potere sono specifiche di ciascuna. Una norma fondamentale di esercizio del potere, comune a tutte le reti, è l’esclusione dalla rete, spiega Manuell Castells. Possibile sintesi dell’abbandono, della colpevole trascuratezza nei confronti della rete di edicole nel nostro Paese.
Vi scrivo dall'interno di uno di quei contenitori metallici, glaciali d'inverno, torridi d'estate, dove per 12 ore al giorno, come prevede l'accordo nazionale, per 7 giorni su sette, diffondo stampa e altro, che per eufemismo definiremo stampa, in rispetto della parità di trattamento, sancita dall'art.4 del decreto legislativo n.170 del 2001. Da un edicola, insomma.
Sono obbligato a inghiottire tutto quello che il mercato editoriale produce, senza possibilità di scelta, perché la legge me lo impone.
Ora con la liberalizzazione annunciata dal Governo, altri soggetti potranno vendere i giornali, se vorranno, e potranno vendere i giornali che pensano siano più appetibili, più vendibili, più richiesti. Insomma saranno liberi. Io no. Io e altri 30.000 colleghi no. Noi dovremo continuare a rispettare l'art 4 del dlgs n.170 del 2001, quello che mi obbliga al rispetto della parità di trattamento.
La legge è uguale per tutti! Ma nemmeno per niente! Se libertà deve esserci, che sia per tutti. Tutti possono vendere giornali? Allora io potrò vendere i giornali che desidero vendere. E non si venga a dire che così facendo mortifico la libertà di stampa e di espressione. Io vengo mortificato nei miei diritti di uomo libero e calpestato da chi vuole impormi solo doveri e negare diritti. La mia posizione, fatta di obblighi e doveri, aveva un senso quando la stampa viaggiava su un'unica piattaforma distributiva, quella cartacea. Ora tutta la stampa viaggia anche con la piattaforma telematica, incessantemente pubblicizzata nelle stesse pagine dei giornali, incoraggiando il lettore a scegliere quest'ultima, anziché preferire la carta. Molto probabilmente perché la fonte dei ricavi editoriali, la pubblicità, si sta trasferendo su internet, invece di continuare a viaggiare sulla stampa. D'altronde l'editoria campa sui ricavi pubblicitari e non su quelli generati dalla vendita. Su quest'ultimi campano i rivenditori e in questi ultimi anni in maniera assai precaria, se non del tutto insufficiente a soddisfare i bisogni primari. L'interesse degli editori, pertanto, è quello di inseguire il consumatore, piuttosto che quello di informare il lettore. Per inseguire il consumatore si scelgono tutte le strade, comprese quelle del basso costo, del cut-price, del low cost. Insomma i giornali si regalano, si accoppiano, in matrimoni incestuosi, due, tre o più testate,al prezzo di uno, che gli edicolanti per ottemperare la legge devono esporre e diffondere:garantiti dall'aggio sul prezzo di un singolo giornale, pari al 18,77% del prezzo di copertina, e non su la somma di quanti partecipano all'accoppiamento. A volte non basta nemmeno questo connubio e via per altre strade, ancora più semplici da seguire, quanto più lastricate di dolore per i giornalai: quelle dell'abbonamento postale con prezzi ridotti fino all'80% del prezzo di copertina. Come si può sostenere una concorrenza simile? Ma poi è una concorrenza corretta o sleale?
Insomma questa è una sintesi delle nostre ragioni per lo sciopero o serrata(chiamateli come volete) del 27, 28 e 29 dicembre.
La libertà è bella quando è estesa a tutti. Quando questa si riduce a privilegi per pochi e a obblighi per tanti, non può essere chiamata libertà:è schiavitù. Tratteggiare gli edicolanti come una casta, una lobby, un gruppo di pressione che frena lo sviluppo dell'economia italiana …viene da ridere se non fosse da piangere. Se le liberalizzazioni italiane si esauriscono tra tassisti e giornalai siamo proprio messi male. E dei vari ordini professionali, compreso quello dei giornalisti, da memoria del Ventennio, non se ne parla? Oppure li rinviamo a data da destinarsi? Ma sì, tutti gli uomini sono uguali,… ma qualcuno è più uguale degli altri.
Un abbraccio con la mani nere di stampa.
Massimo Ciarulli- Terni