A trent’anni sei ancora in tempo a cambiare vita e mestiere, a cinquanta no. A trent’anni puoi pensare solo a te stesso e contare sull’aiuto, almeno morale, dei genitori. A cinquanta, no: ben che vada, hai una famiglia da mantenere. Non puoi riciclarti. Non puoi reinventarti. Ne sai e ne hai viste troppe per cadere nelle lusinghe del cosiddetto “lavoro più bello del mondo” (variante del più celebre “sempre meglio che lavorare“), ma neppure puoi permetterti di rassegnarti ed affogare. La tua professionalità è un handicap. il tuo disincanto è una zavorra. La tua conoscenza del giornalismo e del suo mondo è un ostacolo. Se perdi il lavoro sei morto, ma spesso lo mantieni solo per non far fallire l’editore che non ti paga. Paradossi non dissimili da quelli dei principianti che, credendo di lavorare, lo fanno in perdita e in pratica finanziano il giornale prestando la loro opera gratis.
La pensione è una chimera alla quale, primo, mancano quindici anni (e non entriamo nel merito dell’aumento dell’età minima) e, secondo, che non si sa mai bene se la prenderai e quanto ti darà. Nel caso dei freelance, poi, è peggio: già si sa che sarà una miseria.
Eppure, della generazione dei giornalisti cinquantenni, generazione in piena crisi, nessuno parla. Nemmeno i diretti interessati. Tutti giustamente impegnati a tutelare il lavoro dei più giovani, a preservarli dagli errori che loro compirono, a tracciargli una strada che oggi però è spesso preclusa ai genitori stessi di questi giovani.
I precari reclamano un lavoro, i cinquantenni si accontenterebbero di mantenere quello assai traballante che hanno.
Certo, non è così per tutti. C’è chi ha la fortuna di avere contratti blindati (in questo l’Fnsi ha certamente lavorato bene in passato, peccato lo abbia fatto a spese dei liberi professionisti). Ma in un mondo che, per deriva populista, da un lato ti rimprovera se hai una casa di proprietà e un’auto di media cilindrata, come se per una persona matura fosse una colpa avere qualche minimo agio, e dall’altro ti tassa selvaggiamente, senza al tempo stesso darti la minima garanzia di continuità lavorativa nè di reddito, è difficile sentirsi tranquilli.
E’ invece molto più facile sentirsi invisibili.
Perchè, come scrive la collega ad Abruzzo, tutti guardano ai giovani, che non hanno un domani, e ai pensionati, che hanno un oggi. Nessuno guarda a noi che abbiamo un oggi da sostenere e un domani da alimentare.
“Non interessa più a nessuno assumere i professionisti: costano troppo e conoscono bene il mestiere. Ora l’informazione si fa rubacchiando da internet e con i prodotti delle agenzie che costano molto meno di un dipendente“, scrive la collega. Con l’aiuto di masochisti disposti a lavorare in cambio di niente, aggiungo io. Mentre le nuove leve litigano con i pensionati, noi ci troviamo nel mezzo come vasi di coccio.
2 commenti su “L’oggi da sostenere dei giornalisti onesti (ce ne sono) non giovani”
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Lusingato della tua ampia citazione del mio pezzo sul blog! Ciao, Stefano
Ce ne fossero 100 stefano tesi in questo paese non saremmo come siamo messi …. :-)