E’ morto Socrates per essere precisi Socrates Brasileiro Sampaio De Souza Vieira De Oliveira.
Così lo racconta Darwin Pastorin
Il dottor Socrates, oggi, a San Paolo del Brasile, gioca a pallone soltanto con gli amici («sempre più rari, sempre più cari», per dirla con Giovanni Arpino): si dedica, piuttosto, a curare i bambini poveri e a mettere alla gogna il pallone degli affari e degli scandali dalle colonne della prestigiosa rivista «Placar». Socrates è stato, nel variegato circo calcistico, un personaggio unico. Un libero pensatore, un filosofo, un uomo schierato a sinistra. Quando giocava nel Corinthians paulista fu il principale artefice della “democrazia corintiana”: il primo tentativo di gestire una squadra in maniera sindacale, collettiva. A decidere la formazione erano i giocatori, riuniti in assemblea. Socrates giocava al football in maniera strepitosa: alto, magro, aveva nel colpo di tacco la sua specialità. Un quotidiano brasiliano titolò a nove colonne: “Ecco il tacco che la palla chiese a Dio”. Nel mundial di Spagna dell’82, nella fatidica sfida del Sarrià contro gli azzurri del rinato Pablito Rossi, realizzò una rete a Zoff. Alla fine, disse soltanto: «E’ una sconfitta, non un dramma. I drammi nella vita sono altri». E parlò delle favelas, dei bambini e delle bambine di strada, del “sertao” (la zona incoltivabile del Nordeste).