Re:fusi in collaborazione con il coordinamento romano “Errori di stampa” lancia una campagna su Facebook in occasione del lancio della “Carta di Firenze”: il 7 e 8 ottobre facciamo lo “sciopero dei lettori” per dare un segnale forte contro il precariato dei giornalisti.
Lo sapevate che i giornali italiani, ogni giorno, sono scritti per più della metà da giornalisti precari, non contrattualizzati, lavoratori “a cottimo” pagati un tot a pezzo pubblicato, e non pagati se il pezzo non viene pubblicato?
Lo sapevate che tutti i giornali locali, ma anche quelli nazionali non scherzano, vivono grazie ai precari che, ogni giorno, corrono da una conferenza stampa all’altra, ma spesso non hanno diritto a un rimborso per labenzina? Per non parlare di tutele per la maternità e la malattia, che semplicemente non esistono? Lo sapevate che se i “freelance” – ma è meglio dire “precari dell’informazione” – scioperassero per un giorno, i giornali uscirebbero pieni di “buchi” e pagine bianche?
Ma non possono farlo, perché nei loro confronti non è prevista nessuna tutela rispetto al possibile “licenziamento”, ma è meglio dire “cessazione unilaterale della collaborazione”.
Nella maggior parte dei quotidiani i collaboratori vengono pagati da 5 a 25 euro lordi per un pezzo pubblicato: un articolo può comportare ore di lavoro al computer, spostamenti con mezzi propri, telefonate a carico del collaboratore. Non c’è nessuna corrispondenza tra la “fatica” fatta e il pagamento: un articolo costato ore di lavoro
può ridursi sulla pagina a una “breve”, se nel frattempo è “salita” una notizia più importante.
La carta stampata riceve centinaia di milioni di euro di contributi dallo Stato ogni anno, ma lo Stato non chiede agli editori in cambio di garantire compensi minimi e tutele contrattuali ai collaboratori.
Caro Vittorio,
scusami ma questa confusione di ruoli e sigle è non solo intollerabile, ma anche una delle cause più profonde del malessere della categoria.
Non che io non condivida gran parte delle tue affermazioni, anzi.
Ma è sulle loro interrelazioni che non concordo affatto. Ti risponderò con più chiarezza sul mio blog appena ne avrò tempo, ma in breve:
1) I freelance NON sono precari
2) I freelance NON sono lavoratori a cottimo
3) I freelance NON sono nè si sentono sfruttati
4) i freelance si sentono casomai (j quanto sono) INDIFESI da un sindacato cronicamente latitante e che adesso, nell'affannoso tentativo di recuperare una credibilità irrecuperabile, cerca di pescare nel malcontento spacciando per "precari" (cioè, tecnicamente, i titolari di contratti a termine) tutti quelli che lavorano nell'informazione senza un contratto a tempo indeterminato, facendo così ulteriore confusione, danno e – ma sì, diciamolo – disinformazione.
I freelance sono quelli che lavorano per più testate, non per una sola, sennò sono collaboratori e/o abusivi camuffati con la partita iva. I freelance sono quelli che rifiutano i pagamenti troppo bassi, perchè con il loro lavoro ci campano e con i pezzi a 25 euro non si campa. I freelance non sono nè migliori nè peggiori degli altri, ma sono differenti, hanno cioè una loro specifica fisionomia professionale e far finta che questo non sia vero è un danno per tutti, a cominciare dai precari.
Ciao, Stefano.
Condivido stefano condivido … io hi una visione che inquadra più o meno le cose come dici tu … anche ne scrivo appena possibile …