Gennaro Carotenuto su Giornalettismo
Il sogno di Wikileaks (informato di molta retorica sulla libera stampa e accecato dal dogma della pubblicità) era sostituire le burocrazie statali con presunti rappresentanti di un interesse pubblico in contrasto con l’interesse di “poteri forti”. Tali rappresentanti del pubblico interesse, i giornalisti, si impegnavano ad editare i documenti e inserire filtri (comunque necessari) con l’unico criterio della sicurezza delle persone nominate rispetto ad eventuali persecuzioni politiche.
I giornali contattati (chi scrive conosce in prima persona tale procedura per averla realizzata la scorsa primavera a Londra per il settimanale uruguayano Brecha) hanno tutti firmato un contratto nel quale si impegnavano ad editare TUTTO il pacchetto di documenti a loro consegnati e pubblicarli TUTTI sul sito di Wikileaks indipendentemente dall’usare (e citare) il tal documento in uno o più articoli. In cambio della prima esclusiva (l’unica cosa giornalisticamente rilevante) le testate si impegnavano alla creazione di un enorme archivio pubblico che poteva essere consultato da privati cittadini ma anche da studiosi di varie discipline, storici, economisti, sociologi, politologi, specialisti di diritti umani. Una fonte di straordinaria importanza.
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Insipienza, mancanza di risorse e di personale formato, malafede nel pensare di aver già ottenuto quello che volevano senza poi rispettare i patti, incapacità di comprendere la differenza tra l’interrogazione di un archivio da parte di un pubblicista e quella che oggi e nel futuro possano voler fare degli studiosi, erano alla base del tradimento. I giornali semplicemente –una volta realizzati i loro scoop- non avevano interesse né risorse per compulsare, editare, eliminare i dati sensibili, pubblicare, inserendo parole chiave ed altri elementi di classificazione, quantità di documenti che per ogni testata andava dalle 5.000 alle 25.000 unità.
Adesso i giornali si scandalizzano del fatto che Wikileaks dia in pasto al volgo documenti sensibili saltando il loro sacrale ruolo di mediatori tra notizia e opinione pubblica. È evidente che in tale divulgazione vi sono dei rischi e delle responsabilità gravi. Ma nel leggere l’ipocrisia del comunicato di Guardian, New York Times, El Pais e Der Spiegel coglie un moto di disgusto:
“Difendiamo la nostra collaborazione con Wikileaks ma siamo uniti nel condannare la non necessaria pubblicazione dei dati completi. La decisione di pubblicare l’intero archivio senza un previo controllo è di Julian Assange, e sua soltanto la completa responsabilità delle conseguenze”.
Chiunque può farsi un’idea precisa sulla quota di responsabilità di Wikileaks e su quella dei grandi giornali.