I “furbetti” dei finanziamenti a fondo perduto avevano capito come ottenere un sacco di soldi pubblici senza fatica: gonfiando fatture, si poteva accedere ai contributi pubblici erogati dalla Regione attraverso Finpiemonte e ottenere rimborsi senza troppi controlli. Bastava produrre la documentazione opportunamente contraffatta per siti internet che sulla carta erano costati 50 mila euro anziché molto meno, 3000 euro, per ottenere 25 mila euro gratis di rimborso.
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Un milione e mezzo di euro sono di certo stati erogati tramite un inganno. Al centro del raggiro c’era, secondo l’accusa, soprattutto un consulente finanziario, Fabrizio Milanesio, dello studio Fasi, che dirigeva le operazioni in prima persona oppure tramite colleghi (degli studi Ulixe e NetHouse). Il primo passo era informare dell’opportunità di ottenere soldi facili una serie di imprenditori, artigiani, titolari di carrozzerie, di ristoranti, alberghi, negozi di bigiotteria, o di alimenti per animali, di alimentari in genere, ma anche artigiani edili, piccole case editrici, ditte di smaltimento rifiuti, giornalisti, centri estetici, centri chinoterapici, ditte di abbigliamento e persino una discoteca della cintura gestita da un vigile urbano. I finanziamenti potevano arrivare in tre modi. Il primo era con i siti internet ecommerce: la Regione dava un contributo del 50 per cento, per somme fino a 50 mila euro come investimento a fondo perduto a coloro che dimostravano di aver fatto un sito internet in cui si poteva acquistare online. I siti mediamente costavano invece tra i 3 e i 4000 euro. Ma i consulenti informatici sapevano come trasformarli in costosissimi lavori, gonfiando le fatture fino a 50 mila euro affinché il cliente potesse ottenere un rimborso molto più alto. Il finanziamento, che era “vidimato” da un gruppo tecnico di controllo formato da funzionari regionali e da professori universitari (che si sono dichiarati all’oscuro della truffa) veniva poi spartito tra utente e consulenti.