Il mercato mondiale dei videogame è un business impressionante. Un affare che copre tutto il mondo, una circolazione di denaro e di idee veramente planetaria e globale. Un mercato che è clamorosamente uscito dalle nicchie storiche dei patiti di videogame maschi e giovani per apririsi a nicchie un tempo inattese dei genitori e delle donne.
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Purtroppo l’Italia è una forte consumatrice di intrattenimento digitale, ma una modesta produttrice di videogame. Esportiamo menti che vanno all’estero a pensare e realizzare videogames di qualità. Ma in Italia siamo molto meno produttivi e strutturati in proporzione alle tradizionali doti di creatività ed eclettismo che ci vengono attribuite nel mondo.
Potrebbe essere un ottimo modo per incanalare il nostro Italian Style, per esprimere al meglio le nostre caratteristiche distintive. E invece la filiera e l’industria del videogioco non ha attecchito in Italia. Forse si è sottovalutata l’importanza strategica del settore che in paesi vicini a noi come la Francia è stata percepita da anni, e in cui si sono costruite facoltà universitarie con corsi di laurea in videogiochi, in cui si lanciano startup e concorsi per far nascere i migliori giochi del mondo. In Italia tutto questo è sempre stato sottovalutato nel passato e nel presente. Sono solo giochi, che però valgono milioni di dollari.