Il risultato è un Paese che non riesce a trovare un luogo originario della sua storia, a stabilire una catena di eventi condivisi che lo fanno essere ciò che è, a trovare una data precisa per dichiarare chi è “noi”: e mai come in un anno costellato di appuntamenti per il 150esimo dell’Unità lo si vede bene.
Ma è anche una categoria che ci riporta indietro alle origini di questo nostro Paese. Un Paese, ricordiamolo, che è stato costruito perché molti volontari, senza il fascino del soldo, “gratuitamente” hanno sentito che era giunto il loro momento, che lì si trattava di contribuire a una definizione possibile di futuro e che soprattutto volevano esserci. La maggior parte di loro non sapeva quello che avrebbe voluto per dopo, ma sapeva ciò che non voleva più. E aveva una sola possibilità per dirlo, provarci. Una determinazione, come diceva Vittorio Foa, mossa dalla nostalgia del futuro che obbliga a “partire dalle cose amate per cercare”, e accetta il rischio che quel che verrà dopo non sia all’altezza delle attese e dei sogni. È ciò che si chiama passione della e per la politica. Una cosa diversa dal tifo da stadio e dallo spirito gregario della curva.