Il problema vero, che i miei rappresentanti sindacali non sembrano cogliere, è che viviamo in una fase storica e culturale dove i modelli economici e produttivi dell’informazione così come li avevamo conosciuti sono morti o stanno morendo. Ci può non piacere, ci può angustiare (e personalmente non mi piace e mi angustia), ma è la realtà. Una realtà, peraltro, che in termini generali ha i suoi aspetti positivi perché è la realtà di una maggiore libertà per tutti di esprimersi e di raccontare, non solo per i giornalisti. La rete non è il problema del giornalismo professionale, la rete è l’epifenomeno di una rivoluzione profonda e – forse, se ci si mette d’impegno – potrebbe essere parte della soluzione per il futuro del giornalismo.
Ma l’altro equivoco che emerge dal documento è che “futuro del giornalismo” sembra essere equivalente con “futuro dei giornali” o, peggio, “dei giornalisti” intesi come categoria chiusa e regolata dallo Stato, per la cui sopravvivenza è giusto e opportuno chiedere allo Stato medesimo aiuto e sollievo, che è poi lo scopo dell’intero documento presentato al Senato.
[Ho detto “presentato”? Forse mi sono (chissà, “quasi”…) sbagliato. Infatti il 29 marzo sul sito della FNSI è apparso un comunicato nel quale si informava che una delegazione del sindacato, guidata dal segretario Franco Siddi, era “stata sentita dalla Commissione Lavoro del Senato, in ordine all’ ‘indagine conoscitiva sul trattamento normativo ed economico nel settore dell’Editoria’.” e si allegava il testo integrale della memoria. Quel comunicato e quel testo, però, non compaiono più sul sito della Federazione, benché siano stati ripresi da molti blog e siti di giornalismo che però linkano a una pagina di errore. Il testo comunque è ancora consultabile nella cache di Google, e sulla pagina di Facebook dei Giornalisti precari e freelance del Friuli Venezia Giulia. L’audizione c’è stata e il sito del Senato ne offre il resoconto sommario privo della memoria eventualmente allegata, e non compare invece nulla di nulla sulla pagina che aggrega i contenuti della Indagine conoscitiva in questione.
Tutto ciò non vuol dire, naturalmente, che il problema del precariato non sia drammatico. Questa frase della memoria “fantasma” descrive, per esempio, assai bene il fenomeno:
Sempre più i giornalisti lavoratori subordinati sono coloro che lavorano al desk nelle redazioni obbligati a rivedere testi provenienti dall’esterno e a gestire l’enorme flusso informativo che attraverso le agenzie e la rete invade quotidianamente le redazioni, mentre i freelance finiscono per essere i giornalisti che hanno un rapporto immediato e diretto con la notizia, che seguono i fatti e li raccontano: un pericoloso fenomeno di divaricazione della professione.
Ma questo non è un problema che nasce “con Internet”, nasce per lo meno dalla metà degli anni Ottanta. E’ da allora che nelle redazioni si assiste al paradosso dei “collaboratori” supersfruttati che portano le notizie, alle “file” per essere assunti dopo un tot di lavoro nero e alla trasformazione “sedentaria” di quelli finalmente assunti. E’ certo responsabilità degli editori, ma non vedere le parallele responsabilità di una cultura redazionale da sempre in preda al “nonnismo” vuol dire nascondersi una parte importantissima della realtà. Così come l’idea che ha voluto i quotidiani, negli ultimi 25 anni, il luogo del dibattito “sulle” notizie piuttosto che il luogo della ricerca e della comunicazione “delle” notizie. Le notizie erano un dato quasi esterno, per questo sempre più appaltate ad agenzie, tv e – appunto – collaboratori. Eventuali misure legislative potranno forse dare una mano esternamente, ma difficilemente contribuiranno a “cambiare la testa” di direttori e caporedattori. Specie se a questi si continua a propinare la favola che i loro problemi possono (forse, “quasi”, non si sa…) essere dovuti alla concorrenza sleale del nemico di tutti, la malvagia “Internet”.