“Il processo Thyssen è un processo politico, una vicenda strumentalizzata per lanciare un attacco al capitalismo straniero”. La difesa degli imputati per il rogo del 6 dicembre 2009, che costò la vita a sette operai dello stabilimento di corso Regina Margherita, contrattacca con toni molto forti alla requisitoria della pubblica accusa. Lo fa con l’arringa dell’avvocato Andrea Garaventa, che evoca anche a una sorta di xenofobia nei confronti della multinazionale tedesca.
“La Thyssen – ha detto stamane il legale, mentre i parenti delle vittime uscivano dall’aula – è un’industria straniera, un’azienda che ha rilevato uno stabilimento italiana e per giunta lo stava chiudendo, sia pure con tutte le garanzie per i lavoratori. Per questo, in una guerra al capitale straniero, è stata data a questa vicenda un rilievo mediatico del tutto particolare, con imputazioni distorte e frettolose da parte della pubblica accusa”.
Nel merito delle accuse, l’avvocato Garaventa ha contestato l’imputazione di omicidio volontario mossa all’ad Harald Espenhahn: “Dov’è – si è chiesto – la prova del dolo? La Thyssen non voleva certamente mandare a fuoco la linea 5, che anzi sarebbe dovuta essere trasferita a Terni. Quale interesse avrebbe avuto l’azienda? E poi anche i lavoratori costituivano un bene prezioso per l’acciaieria”.