Andranno a processo, ma tra un anno, quattro degli indagati per istigazione alla corruzione e per la turbativa d’asta all’Amiat, azienda municipalizzata di smaltimento rifiuti di Torino. “Le mie accuse non sono una messa in scena, ma fatti accertati”, afferma Raphael Rossi, che con la sua denuncia diede il via all’indagine. Oggi il gup Anna Ricci, su richiesta del pm Carlo Maria Pellicano, ha deciso che il 12 gennaio 2012 andranno alla sbarra davanti ai giudici della I sezione penale del tribunale di Torino il direttore degli acquisti dell’Amiat Giancarlo Gallo, tuttora in carica, l’amministratore della VM Press di Alessandria (la ditta che aveva cercato di piazzare un macchinario all’azienda) Giovanni Succio, il titolare Carlo Gonnella e il proprietario Giorgio Malaspina. Il giudice ha accolto il patteggiamento a dodici mesi richiesto da Giorgio Giordano, ex presidente dell’Amiat che aveva cercato di corrompere Rossi, prima consigliere e poi vice-presidente del consiglio d’amministrazione della municipalizzata.
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Stando la ricostruzione della procura di Torino la vicenda inizia nel settembre 2006. In quei giorni i tecnici di Amiat presentano al consiglio d’amministrazione il progetto per un pressoestrusore, impianto di pressatura dei rifiuti, ma i costi del progetto (4 milioni di euro), l’assenza di una gara d’appalto e la sua utilità non convincono Rossi, consigliere di nomina politica ma non per questo incompetente nel settore, anzi. Due mesi dopo, nel novembre 2006, presenta una memoria critica sul “pressoestrusore” e ne ferma l’acquisto.
Ma qualcuno non ci sta. È Giordano, l’ex presidente e poi direttore della Confservizi Piemonte (l’ente che promuove e tutela le aziende dei servizi pubblici locali). Dopo un anno dallo stop, nell’autunno del 2007 va alla carica e cerca di sbloccare la compravendita. Si reca nell’ufficio di Rossi, cerca di convincerlo della bontà dell’operazione, e lo fa con metodi poco consoni. Allude a benefici, poi diventa più esplicito e parla di compensi. Il giovane dirigente si insospettisce. Si rivolge all’avvocato Roberto Lamacchia che gli consiglia di andare in procura e presentare un esposto. Lo fa davanti al pm Pellicano. “Le proposte – racconta al magistrato – sono diventate palesi e di due tipi: pagamento in contanti per una cifra più bassa, o tramite una finta consulenza pagata a un prestanome, un parente o un amico che per l’occasione avrebbe dovuto aprire una partita Iva. Ciò avrebbe permesso di far salire e di molto la somma destinatami”. Le cifre potevano così salire da 50mila a 150mila euro