Linkiesta affronta di petto l’inchiesta (appunto) per evasione fiscale di Dolce&Gabbana che i giornali vecchio stile avevano ridotto a una breve per non rischiare di perdere le lucrose pubblicità delle coppia più cool della moda italiana. Alla faccia dell’informazione e dei cani da guardia, stile barboncino …
La giustizia a Milano non si occupa solo di Ruby. Proprio mentre la Guardia di Finanza annuncia nuovi risultati sul fronte della lotta agli evasori, stamattina si è tenuta l’udienza preliminare del caso in cui sono coinvolti i due stilisti accusati di aver raggirato lo Stato. La coppia – difesa dallo stesso avvocato della giovane marocchina – è già stata condannata a pagare una multa da 800 milioni di euro all’Agenzia delle entrate. Linkiesta ricostruisce, carte alla mano, come funziona il meccanismo di scatole cinesi contestato dagli inquirenti.
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i due stilisti hanno già saldato una parte del debito versando 90 milioni all’Agenzia delle Entrate per le imposte evase in quanto persone fisiche. I due principi delle passerelle avrebbero beffato il Fisco nascondendo i redditi delle loro dichiarazioni attraverso una complicata architettura finanziaria, beccandosi così una multa divisa esattamente a metà, roboante come applausi e onori che da sempre spartiscono: 400 milioni a testa, da versare nei prossimi mesi all’Agenzia delle Entrate, di cui 90 appunto già anticipati.
L’avviso di chiusura delle indagini, consegnato nell’ottobre scorso dai finanzieri di Milano agli stilisti, racconta di una società italiana, la D&G, che all’improvviso cambia connotati, travestendosi da società lussemburghese per sottrarsi alle tasse italiane e godere dei privilegi fiscali nel Granducato. Nel 2004 il sistema delle royalties viene sottratto a una struttura fino a quel momento lineare – con alla testa la società a responsabilità limitata D&G, con sede a Milano – e trasferito a una catena di scatole cinesi. La testa del gruppo è portata in Lussemburgo, dove viene fondata una società, la Dolce&Gabbana Luxembourg, che controlla il 100 per cento di un’altra società, la Gado. S.à.r.l. nel cui board siedono il fratello di Domenico Dolce, Alfonso, e il direttore finanziario Cristiana Ruella.