Sono cresciuto con il mito di un uomo che non ho mai visto vivo. Quando sono nato Fausto Coppi era già morto, ma tutti in famiglia mi hanno sempre parlato di lui come di un eroe, di un uomo che aveva vinto tutto sulla bicicletta e poi era andato a trovare la morte per delle zanzare dell’Africa. Era un mito buono, mite e silenzioso per una generazione che non aveva ancora vissuto appieno gli agi del boom economico. Penso di aver letto su Copppi più di ogni altro sportivo. La mia prima bicicletta da corsa aveva il suo marchio: Bianchi e ne ero orgogliosissimo. E’ probabilmente lo sportivo italiano con il maggior numero di lapidi e monumenti che lo ricordano, con una corsa straordinaria che lo celebra
Era un campione vero che correva su strade pazzesche senza troppi beveroni. Un fisico nato per correre i bicicletta, con ossa troppo fragili, ma con un sistema cardio circolatorio da marziano. Aveva il suo alter ego in un toscanaccio fortissimo che si chiamava Gino Bartali. Erano un coppia incredibile.
Quando un uomo, soprattutto nello sport, muore troppo giovane per essere vecchio è difficile capire quanto la sua grandezza dipenda dalla sua morte precoce o dalle sue imprese. Fausto Coppi è stato un mito per quello che ha fatto e per quello che ha rappresentato nella società dei suoi tempi anche con scelte che ha saputo fare. Lui che era nato su un cocuzzolo dell’alessandrino aveva saputo schierarsi contro la società perbenistica dei tempi. La società non ancora laica e intrisa di cattolicesimo puritano. Per questo quando sento questa canzone di Gino Paoli sento le lacrime che scendono giù. Certo che Gino Bartali era molto più simpatico …
Oggi saremo a Castellania e Novi Ligure a 51 anni dopo la sua morte per ricordare Fausto … e Gino