Fino a qualche mese fa Sergio Marchionne era esaltato con quei facili entusiasmi di cui gli italiani sono maestri. Innovatore, salvatore della Fiat, emigrante di ritorno, schivo uomo del pullover ignaro dello chic dei doppiopetto gessati. Di lì a poco ecco il rovescio dell’adulazione di casa nostra, l’insulto, lo schizzo di fiele, la denigrazione. In poco tempo il Ceo della Fiat è passato da patriota dell’automobile, austero abruzzese figlio di un carabiniere, a filibustiere, padrone assetato di profitto, «illiberale» secondo i moderati della Cgil, «fascista» secondo gli intemperanti della Fiom.
Naturalmente l’incenso di prima (perfino l’ex presidente della Camera Bertinotti ne aveva usato un po’) e le uova marce di oggi (perfino la destra ne fa uso, per non essere tagliata fuori dal populismo) non nascondono la realtà: Marchionne ha deciso di smentire le previsioni nette dell’Economist e del Financial Times che annunciavano la morte certa della Fiat e salvare la produzione di auto in Italia. Il patto con la Chrysler, benedetto dal presidente Obama, costringe Fiat alla realtà: o si produce come produce il mondo, o l’Italia non avrà più manifattura di auto. La Fiom parla di «diritti» come se tutti nel mondo non avessero diritto a un lavoro e una vita dignitosa: ma, dimentica dei suoi maestri come Bruno Trentin, non si rende conto che i diritti vanno creati nella realtà, non postulati in astratto.
E il diritto al lavoro non è che un flatus vocis se l’economia non lascia fabbriche in un paese. Marchionne ha ricordato a tutti, dal sindacato ai media alla politica, che nel mondo globale si gioca secondo regole globali. La Confindustria, Finmeccanica, la Cisl, la Uil e altre sigle e sindacati sono ora impegnati in una meritoria opera di mediazione perché, dopo Mirafiori e Pomigliano, l’innovazione di una concertazione diventata qualche volta solo burocrazia arricchisca il paese senza strappi e senza polemiche. L’anno scorso Il Sole indicò in Giulio Tremonti l’uomo dell’anno per l’economia italiana, per il lavoro fatto sui conti pubblici.Non mancarono le polemiche, poi, dal povero Padoa-Schioppa, a De Benedetti, all’Economist anche critici severi del governo convennero che era proprio Tremonti il protagonista. Vedremo le discussioni e il bilancio della scelta che la direzione e i capi redattori del nostro giornale hanno fatto ora. Ma l’energia, la visione e le scelte, anche drammatiche, di Marchionne hanno messo tutti davanti alla realtà, nel suo bene e nel suo male. È possibile che, a tratti, il capo della Fiat abbia agito con eccessiva ruvidezza, incurante della solitudine o della difficoltà che altre imprese potranno avere nella nuova modalità contrattuale, o con una Fiom più rigida.