La discussione intorno al caso Wikileaks è stata finora sconcertante. Molti, infatti, sembrano aver dimenticato – spero solo momentaneamente – conquiste acquisite da decenni. Su tutte, i due pilastri che reggono la libertà di stampa dai «Pentagon Papers» (inizio Anni 70) a oggi: da una parte, lo Stato ha diritto di fare tutto quanto in suo potere per ostacolare la fuoriuscita di informazioni oggettivamente riservate; dall’altra, la stampa ha pieno diritto di pubblicare quanto le viene recapitato – basta che faccia notizia. Una discussione «senza inibizioni, robusta e la più aperta possibile» è, infatti, ritenuta da decenni essenziale all’emersione della verità e alla formazione di una pubblica opinione consapevole, anche a costo di qualche eccesso e anche a costo di divulgare segreti.
…
Per problema di limite, in senso matematico, intendo l’enorme potenziamento della libertà di espressione reso possibile da Internet. Un diritto considerato fondante delle nostre democrazie da più di due secoli ora è esercitabile da ogni singolo cittadino, non solo da pochi. Se alla libertà di espressione crediamo davvero, dovremmo solo rallegrarci di questo sviluppo. Numerose reazioni fanno invece pensare che almeno per qualcuno la libertà di espressione va bene in astratto, ma non se accessibile a tutti.
Il secondo problema sembra essere un problema di attori. Lo suggerisce la contraddizione ricordata prima: come fa la medesima azione a essere allo stesso tempo normale e criminale a seconda se a farla è un giornale tradizionale o un gruppo di persone qualunque? È ora di accettarlo, a tutti i livelli: Internet democratizza la libertà di espressione. Lo si dice da anni, eppure ci è voluto il caso Wikileaks per farlo entrare nella coscienza di tutti. In altre parole, di fronte alla libertà di espressione, che piaccia o meno, non ci sono categorie privilegiate di attori: siamo tutti uguali davanti ai diritti fondamentali.
Preoccupano, però, certe reazioni. Le reazioni dei governi democratici, in particolare. Invece di trarre le conseguenze dell’interazione tra i loro principi fondanti e Internet – chiare da anni a tutti coloro che volessero vederle – molti hanno avuto reazioni da ancient régime. Siamo, quindi, potenzialmente a una svolta. Possiamo reagire chiudendoci in difesa, rinnegando conquiste civili importanti e provando ad abolire Internet. O possiamo riconoscere in questi sviluppi una conferma dei nostri valori e portare la nostra democrazia nel ventunesimo secolo. Spero che, passate le reazioni a caldo, non ci siano dubbi sulla direzione da intraprendere nell’interesse di tutti.