Che io conosca oppure no Paola è del tutto irrilevante.
Tutti conosciamo una, due, dieci Paola. La sostanza non cambia. Sono solo le facce e le professioni a cambiare, perché quello del precariato non è un problema solo dell’editoria.
Negli ultimi due giorni si è parlato diffusamente della situazione che ha portato Paola Caruso, una giornalista del Corriere della Sera, a ricorrere allo sciopero della fame. Per far sentire la sua voce, per ribellarsi pubblicamente contro un sistema che è intrinsecamente sbagliato.
Per portare un argomento così importante nella luce dei riflettori, perché – a mio avviso – in Italia sussiste uno strano fenomeno, quello per cui se nessuno si lamenta di un determinato fatto, allora vuol dire che tutto è in regola e che niente debba essere cambiato. Anche se il fatto in questione è moralmente, civilmente, umanamente sbagliato.
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Ora, discutere sull’esattezza o meno nella resa dei fatti, mettere in dubbio la sua credibilità, negare che i fatti siano avvenuti così come lei li ha descritti, significa prendere una grande occasione e buttarla via. Perché non è di Paola Caruso che si parla, ormai. O meglio, non solo di Paola Caruso. Il suo caso è come quello di tanti altri, in svariati settori.
Bisogna smetterla di piegare la propria volontà a queste regole, semplicemente perché sono sbagliate: dovrebbero tutelare le persone e la loro dignità. Nella realtà dei fatti mettono in secondo piano i diritti dei lavoratori per dare alle aziende la possibilità di “risparmiare”. Oppure, se vogliamo vederla da un altro punto di vista, le aziende trovano il modo di utilizzare le leggi a loro favore, in modo tale da poter “risparmiare”.
L’Italia è una Repubblica Democratica fondata sul lavoro, dice la Costituzione. Volere un contratto a tempo indeterminato non è un capriccio, è l’unico perno, l’unica sicurezza su cui cominciare a costruire la propria vita.
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Io sono una laureanda di 21 anni. Se non si fa qualcosa, se non unisco la mia voce a quelle che si stanno sollevando in queste ore, non avrò il coraggio di guardarmi allo specchio quando anch’io finirò là fuori, nel meraviglioso mondo del lavoro.
Perché, alla fine, anche io sono Paola.
1 commento su “Le tante Paola e la necessità civile che vengano a galla”
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