“Funziona così: un barista prende 70-80 euro a sera, una cameriera 35-40, una ragazza “jolly”, cioè che toglie solo i bicchieri dai tavoli e aiuta i barman, arriva a 30. Qualcuno è in nero, ma la maggior parte di loro ha un contratto a chiamata”. Sara racconta così le sue notti di lavoro nei dintorni di piazza Vittorio, nel cuore della movida. Racconta l’altra faccia del problema, l’altro effetto collaterale del divertimentificio notturno: oltre agli schiamazzi, il lavoro nero. I protagonisti, o meglio le vittime, sono quasi tutti studenti che lo fanno per arrotondare, ma c’è anche qualcuno che ha studiato da barista e che comunque non riesce a trovare un contratto decente.
Dovrebbero lavorare solo ogni tanto, e invece fanno 6 giorni su 7, senza mutua, senza contributi, senza ferie, senza possibilità di fare cinque minuti di pausa”. Vista da dietro al vassoio, la movida si capovolge: davanti al bancone i giovani si divertono, dietro vengono sfruttati. Sara ci è dentro da quattro anni e ormai la conosce abbastanza da aver raggiunto il limite massimo di frustrazione. Infatti ha preso carta e penna ed ha scritto al sindaco Sergio Chiamparino. Perché, dice, “chi lavora non fa notizia, mentre chi non dorme a causa degli schiamazzi invece sì”.