Ero seduto anch’io sul palcoscenico della Fenice di Venezia, sabato sera, quando d’improvviso abbiamo visto illuminarsi la faccia di Bruno Vespa: “Assegniamo ora il Premio Campiello opera prima a Silvia Avallone, autrice del romanzo ‘Acciaio’, e prego la regia di inquadrare il suo strepitoso decolletè”. Non pago, quando s’è ritrovato al fianco la giovane scrittrice vestita di chiffon, Vespa ha indugiato sul tatuaggio che ne orna una spalla, gliel’ha cinta e –rivolto alla platea degli industriali veneti promotori del Campiello- ha soggiunto: “La sto toccando e vi assicuro che nonostante il grande successo già conseguito, vibra ancora d’emozione”.
A quel punto ho incrociato lo sguardo con quello allibito di Michela Murgia, la trionfatrice dell’edizione 2010, seduta accanto a me. Con la sua autorizzazione, riferisco l’istintivo commento sussurratomi dall’ottima autrice di “Accabadora”: “Ma come è possibile? Vespa si comporta come un vecchio bavoso!”.Per ciascuno degli altri scrittori intervistati fino a quel momento, naturalmente, le domande di Vespa vertevano sul contenuto dell’opera presentata, con brevi divagazioni riguardanti l’attualità o le esperienze di ciascuno. Davanti alla Avallone (classe 1984, dunque giovane, ma non certo una bambina) l’atteggiamento è cambiato. Il libro è passato decisamente in secondo piano, quasi che il maturo maschio italiano di successo e benpensante –dimentico della sua professione- in un tale frangente si ritenesse autorizzato alla deroga protocollare: la pupa ha ben altro da mostrarci, cosa volete che me ne importi se è una scrittrice di valore? Sciambola, mica perderemo tempo a intervistarla come un Carofiglio, un Pennacchi o una Pariani qualsiasi!
Naturalmente in un premio letterario francese, tedesco o americano sarebbe stato inconcepibile una simile disuguaglianza di trattamento; e il professionista che per avventura vi fosse incorso, si sarebbe beccato una rispostaccia seduta stante. Silvia Avallone invece vive in Italia, dunque si è limitata a confidare più tardi il disagio provato in quella cerimonia, trasmessa su Raiuno. Noiosa, forse, ma non meritevole di essere vivacizzata da arrapamenti senili in una sede impropria.