A volte seguire il filo di una giovane vita che si spezza in carcere, una delle tante morti che la cronaca è costretta a registrare, archiviata forse troppo facilmente come “suicidio”, può svelare, come nelle migliori spy story, uno dei più complicati e oscuri intrighi internazionali degli ultimi tempi. Una storia di ‘ndrine calabresi che parlano in perfetto londinese e riciclano soldi sporchi a San Marino grazie a colletti bianchi che lavorano nel settore della telefonia. Niki Aprile Gatti aveva 26 anni, era nato ad Avezzano, in provincia dell’Aquila, e per sua sfortuna aveva trovato lavoro come programmatore in un’azienda finita nel mirino degli inquirenti (la Oscorp SpA). Arrestato il 19 giugno 2008 in circostanze molto particolari, venne ritrovato quattro giorni dopo morto impiccato nei bagni del carcere fiorentino di massima sicurezza di Sollicciano. «Suicidio», per il Gip di Firenze che nel maggio scorso ha archiviato il caso. «Omicidio» per la madre Ornella Gemini che da allora non si è mai stancata di gridare la sua personale verità.
È proprio sulla rotta San Marino-Londra, infatti, che si intrecciano le varie inchieste su cui lavorano da tempo gli investigatori britannici e italiani: Telecom Sparkle-Fastweb, Phuncards-Broker (una rete di imprese fantasma capeggiate da broker londinesi), Premium e Eutelia. Fascicoli che parlano di cosche globali legate alle famiglie di Isola Capo Rizzuto, di politici finiti in carcere come il berlusconiano Nicola Paolo di Girolamo, e di imprenditori tristemente noti come Gennaro Mokbel, imputato insieme all’ex presidente di Fastweb Silvio Scaglia, all’ex ad di Telecom Italia Sparkle Stefano Mazzitelli ed altre 33 persone nel processo che si aprirà a Roma il 2 novembre prossimo. Per loro l’accusa è di associazione per delinquere transnazionale pluriaggravata finalizzata al riciclaggio all’intestazione fittizia di beni, evasione fiscale, reinvestimento di proventi illeciti e delitti contro la pubblica amministrazione.La storia di Niki Aprile Gatti, il cui volto campeggia sui tanti manifesti che sua madre ha affisso per anni nelle strade di Avezzano, reclamando verità e giustizia per quella giovane vita finita in ingranaggi troppo più grandi di lui, si fa oscura il 19 giugno 2008 quando riceve la telefonata della madre del titolare/socio dell’azienda per cui lavora, la Oscorp. La signora informa Gatti che il figlio è stato arrestato nell’ambito di un’inchiesta per truffa attraverso i numeri speciali di telefonia 899 e 892, e gli chiede di recarsi dall’avvocato aziendale, Franco Marcolini, per avere spiegazioni. Niki, racconta la madre nel suo blog e in numerose occasioni, non ha nulla da temere e segue le indicazioni ricevute ma all’uscita dall’incontro con l’avvocato viene a sua volta arrestato con l’accusa di frode informatica.
Non finisce nel carcere di Rimini, come gli altri 17 arrestati (tra cui il presidente dell’Arezzo calcio, Piero Mancini, amministratore di una società concessionaria di servizi telefonici), ma a Sollicciano. E, a differenza degli altri, non si avvale della facoltà di non rispondere ma collabora con i magistrati che lo interrogano il 23 giugno 2008. È l’unico, tra tutti gli arrestati, a cui vengono negati gli arresti domiciliari, malgrado fosse incensurato. Rimane nel carcere di massima sicurezza ma solo per poche ore: il 24 giugno viene ritrovato morto impiccato.