Quella occorsa in questi giorni è stata la peggiore alluvione che il Pakistan abbia mai subito. Altre inondazioni sono attese nei prossimi giorni nella regione del Sindh. Fino a questo momento sono morte 1600 persone, 300 mila case sono state distrutte e le stime più basse sul numero degli sfollati parlano di due milioni. E sono cifre che cresceranno ancora.
Per avere un termine di paragone, basta sapere che durante il terremoto ad Haiti – che pure per l’istantanea violenza della prima scossa aveva causato una quantità di vittime molto maggiore – gli sfollati furono molti di meno, circa un sesto. Anche le persone in qualche modo coinvolte dalla tragedia, complice la diversa vastità delle due aree, sono state enormemente di più in Pakistan. Eppure durante questa catastrofe l’attenzione del resto del mondo è stata notevolmente minore rispetto ad Haiti. Sui media internazionali se ne è parlato poco, su quelli italiani quasi per nulla. L’unico sito d’informazione ad avere dedicato un’attenzione particolare alle notizie provenienti dal Pakistan è stato al Jazeera, che alle alluvioni ha dedicato anche uno speciale.
Il motivi di questo disinteresse sono molteplici, e tutti inevitabilmente cinici: come detto, la dilazione nel tempo delle conseguenze delle alluvioni va a detrimento dell’attenzione generale, che viene maggiormente colpita da calamità istantanee come quella di Haiti o lo tsunami nell’est asiatico del 2004. Il periodo estivo non ha certo aiutato, incentivando i giornalisti a cercare di pubblicare notizie più leggere, a scapito della portata dell’evento. Inoltre, può avere avuto un peso anche l’abitudine ad associare il Pakistan a un luogo martoriato dove le sciagure sono all’ordine del giorno.
Le conseguenze del disinteresse dei media sono gravi: l’afflusso di aiuti umanitari in Pakistan è stato particolarmente ridotto rispetto ad altre recenti situazioni di emergenza, e l’Independent spiega come in questo momento gli interventi di soccorso siano quasi esclusivamente nelle mani di organizzazioni notoriamente compromesse con l’estremismo islamico. In particolare sembra che il lavoro più alacre lo stia facendo la sedicente associazione caritatevole Jama’at-ud-Da’wah, un’organizzazione che le Nazioni Unite considerano semplicemente la denominazione che il più noto gruppo islamista Lashkar-e-Toiba avrebbe assunto dopo la messa al bando da parte del governo pakistano.