Paolo Flores d’Arcais sul Fatto Quotidiano
Cari Antonio Di Pietro e Nichi Vendola, in caso di sfiducia parlamentare al governo Berlusconi la vostra proposta è chiarissima e convincente: subito elezioni democratiche. Dove l’avverbio “subito” è importante, ma davvero decisivo è l’aggettivo: elezioni DEMOCRATICHE. C’è dunque una domanda a cui non potete (non possiamo) sfuggire: nella situazione attuale, e con un governo Berlusconi dimissionario ma in carica per “l’ordinaria amministrazione” (questo significa elezioni subito), le elezioni sarebbero democratiche? Io credo di no. Non sono democratiche elezioni in cui uno solo dei contendenti controlla totalitariamente la risorsa elettorale decisiva, la comunicazione (e l’informazione). Non sono democratiche elezioni in cui, in sinergia con la prima e già decisiva “anomalia”, chi ottiene la minoranza dei voti può avere in Parlamento una maggioranza schiacciante (e oltretutto nomina direttamente i “suoi” deputati e senatori). Lo pensate anche voi, o siete invece convinti che le elezioni sotto totalitarismo televisivo e con la legge elettorale “porcata” sarebbero comunque democratiche?
Perciò, se volete (vogliamo) elezioni DEMOCRATICHE, anziché smaccatamente truccate, dobbiamo prima volere, e ottenere, le CONDIZIONI perché le elezioni non siano una truffa. Primo: la restituzione al pluralismo dell’etere televisivo, bene pubblico per antonomasia – proprio come l’aria che si respira. Che al pubblico pluralismo è stato invece espropriato da Berlusconi, grazie a quella “cricca” ante-litteram che fu il suo sodalizio con Craxi. Secondo: una legge elettorale – sia essa maggioritaria o proporzionale – che eviti le mostruosità dall’attuale “porcata”. Io aggiungerei anche una legge sul conflitto di interessi, che in effetti esiste già dal 1957 ma è stata interpretata alla azzeccagarbugli e andrebbe quindi rinnovata in modo da essere inaggirabile, e l’abrogazione di tutte le leggi “ad personam”. Questi due ultimi provvedimenti sono certamente importanti per una democrazia degna del nome, ma i primi due sono assolutamente imprescindibili.
Sia chiaro: qualora non si riuscissero a ottenere nemmeno le due condizioni minime che ho appena elencato, credo che si dovrebbe comunque partecipare al voto, anche in condizioni di democrazia amputata (gravemente amputata, direi). In condizioni peggiori delle nostre, l’opposizione cilena discusse se partecipare al referendum voluto dal regime di Pinochet o boicottarlo, e per fortuna decise per la partecipazione, e per lo sconfitto Pinochet fu l’inizio della fine.